IO, OTTAVIO E IL BIDELLO (per non parlar della collega)
di Enrico Roversi
E’ il 1996.
Io
Sono un giovane precario della scuola elementare. Un pivello, ne sono consapevole. Inizia il mio secondo anno di insegnamento e copro gli ultimi mesi di una maternità. Mi hanno affidato una prima a tempo pieno e brividi gelati mi corrono lungo la schiena. Sarò in grado?
Ottavio
Ottavio è un bel bambino di sei anni. E’ figlio unico di due genitori un po’ avanti nell’età, ansiosi e iperprotettivi. Non ha frequentato la scuola materna, la mamma è casalinga. Questo è il suo primo vero distacco dal nucleo famigliare, il suo primo vero ingresso in un gruppo di coetanei.
Il bidello
Renzo dà l’idea di essere un bidello per caso, uno di quelli che un giorno ha detto: “Proviamo anche questa” – e gli è andata bene. Superata la trentina sembra un hippy fuori tempo massimo: non fosse per il naso pronunciato il viso spunterebbe a malapena, incastonato com’è tra lunghi capelli ricci e una barba fluente che sembra non aver mai conosciuto né pettine né forbici né rasoio. Ricorda il Mangiafuoco di Pinocchio ma tra l’intrico di barba e capelli campeggia sempre un tranquillo ed ironico sorriso.
La collega
A fine carriera. I cambiamenti, che non ha mai accettato né tantomeno interiorizzato, l’hanno travolta. E’ del tipo “Una volta sì che…”
Svolgimento
E’ il primo giorno di scuola, la campanella ha già suonato ed ignoro cosa sta per accadere. Siamo in compresenza. Sono impacciato, quasi bloccato, lascerò fare tutto alla collega. I bambini cominciano a sciamare dentro l’aula accompagnati dai genitori. Ottavio entra aggrappato alla mano della mamma. Quella stretta non si scioglierà fino alle 9.45. Dopo dieci minuti gli altri bambini sono soli davanti alla loro nuova avventura. Ottavio no, è ancora aggrappato e non ne vuole sapere di rimanere da solo. La mamma non sa cosa fare. E’ imbarazzata, tesa, preoccupata. Anche la mia collega non se la passa tanto bene. Una cosa del genere non le era mai capitata, esce dai suoi canoni e schemi e non sa come comportarsi. Ogni tanto mi guarda come per dire: “Che facciamo?” – poi si gira forse pensando: “Che lo chiedo a fare a questo qui!”. Ha perfettamente ragione. Mi affida la classe e si concentra sul problema più grosso. Alle 9.45, dopo lunghi ed interminabili minuti di contrattazione sindacale, viene siglato un solenne accordo tra maestra, Ottavio e mamma. La madre lo lascerà solo e tornerà per un breve saluto alle 11.00 dopo la ricreazione. Sarò un pivello ma è un accordo che non lascia presagire a nulla di buono. Infatti, dalle 11.05 il nostro terzetto è nuovamente in contrattazione perché Ottavio ha ben pensato che lui a scuola c’è già stato abbastanza e vuole andare a casa. Per fortuna, la prima settimana, come accoglienza delle classi prime, si termina alle 12.30! Il giorno seguente la scena si ripete in tono minore. Il distacco di Ottavio è cosa lunga ma, almeno, non c’è il ritorno del genitore dopo la ricreazione.
La situazione, ovviamente, non è passata inosservata al resto del gruppo classe e l’integrazione, per il nostro recalcitrante alunno, si fa ancora più complicata. “Una volta bastava una sgridata e una sberla” – è la conclusione della mia collega. Sempre da pivello mi chiedo che senso ha colpevolizzare il bambino? Si può urlare a una persona che si sente soffocare “Respira!” e sperare che lo faccia? Ma poi, chi è Ottavio? Dal modo di parlare, dalla sua proprietà di linguaggio e dai suoi ragionamenti è sicuramente molto maturo per la sua età ma, in maniera inversamente proporzionale, sensibilissimo e fragilissimo a livello emotivo. Rimane però ancora uno sconosciuto.
Nei giorni successivi il distacco si fa più rapido, ma questo non migliora la situazione del bambino. E’ spaesato e sofferente, fatica ad entrare in relazione con gli altri, tende ad appartarsi. Sembra non aver dimestichezza con il disegno ed i colori, è evidente che su questo non è stato stimolato dall’ambiente famigliare. La mia collega lo incalza: “Non hai disegnato i capelli!” “Le mani sono a porcospino!” “Dove sono i piedi? Cosa fa, vola?” Invece di lottare contro i suoi limiti e le sue debolezze, perché non si esplorano le sue potenzialità e i suoi punti di forza partendo da questi? Finalmente finisce la prima settimana. Dalla seconda iniziano anche i pomeriggi ed io sarò solo con la classe… e con Ottavio.
Il lunedì mattina tocca a me. Ottavio arriva, saluta la madre ma appena raggiunge il banco comincia a piangere. Mi siedo vicino a lui e cerco, senza grandi risultati, di consolarlo. In quel momento entra Renzo per prendere le presenze alla mensa. Non mi vede alla cattedra e gira lo sguardo verso la classe per cercarmi. Lascio il bambino e vado verso di lui. Gli accenno due cose veloci e poi gli chiedo se Ottavio può andare con lui a completare il giro delle presenze per farlo distrarre un po’. E’ d’accordo, per fortuna. Così ho almeno il tempo di impostare l’attività per la classe. Si inizia. Ad un certo punto guardo l’orologio e mi rendo conto che sono passati venti minuti e Ottavio non è ancora rientrato in classe. Accidenti, dov’è finito?
Apro la porta dell’aula e mi affaccio sul corridoio. “Arriviamo” – è la voce di Renzo. Tiene in braccio Ottavio che, tranquillo, lo contempla accarezzandogli la barba. Prima di arrivare alla porta lo fa scendere e gli dice: “Ci vediamo dopo”. Il bambino entra tranquillo e sorridente e va a sedersi al suo posto. “Scusa se abbiamo tardato ma finito il giro l’ho portato a fare una passeggiata in giardino. Sa un sacco di cose sulle piante e sugli animali. Ha notato che alcuni cespugli erano un po’ secchi e glieli ho fatti annaffiare. Gli ho promesso di passare a salutarlo quando finisco il turno, se non hai niente in contrario.” Figuriamoci se ho qualcosa da obiettare, l’abbraccerei! Rientro in classe. L’umore di Ottavio è migliorato ed è ben disposto ad iniziare a lavorare insieme agli altri. Il giorno successivo concordo con Renzo un piano di aiuto e supporto per il bambino. Chi l’avrebbe mai detto che “Mangiafuoco” sarebbe diventato una figura emotivamente rassicurante per Ottavio che adesso non ha più crisi e comincia ad ingranare con i compagni.
Epilogo
Sono arrivate le vacanze di Natale e con esse la fine della mia supplenza. Alcuni bambini, per salutarmi, mi regalano qualche loro disegno. Li ringrazio e mi metto a contemplarli. Tra di essi spunta quello di Ottavio: ci sono io (con baffi ed occhiali), lui (sorridente) e Renzo (con tanto di barba e capelli lunghi). Ci teniamo per mano. Le mani sono a “porcospino”… bellissime.
Nota a margine
Negli ultimi anni il personale collaboratore scolastico ha subito pesantissimi tagli, tali da compromettere la sicurezza delle nostre scuole ed il benessere dei bambini senza avere più la possibilità di coadiuvare i docenti nell’attività didattica. Da quest’anno, per legge, non potranno più essere sostituiti nella loro prima settimana di assenza per malattia.
E’ buona scuola?
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