LA TESTA TRA LE NUVOLE

di Gianluca Gabrielli

 

Vent'anni fa, una seconda elementare, io nell'anno di prova.

Tra le attività dovute c'è l'osservazione di una lezione della collega tutor.

Mi piazzo in un angolo della classe, laterale rispetto all'asse che collega gli occhi dei bambini a quelli dell'insegnante. Poi osservo, cercando di scomparire per quanto mi è possibile agli occhi di tutti. Di quell'osservazione mi è rimasta ancorata indelebilmente nella memoria la vicenda della gomma di Giacomo.

 

Giacomo è un bambino simpatico e amato dai compagni, il suo status è forte, molti hanno piacere a giocare con lui, ad essere riconosciuti come suoi amici. Mentre la maestra parla alla classe, a Giacomo cade inavvertitamente la gomma a terra. Giacomo non se ne è accorto, mentre se ne accorge Alessandro, bambino poco sicuro di sé e meno al centro dell'attenzione dei compagni. Alessandro ci mette poco a capire che si sta presentando per lui un'occasione insperata di fare un piacere a Giacomo, raccogliendogli la gomma e conquistandosi così un po' della sua stima e amicizia. Ma non è facile. Si guarda attorno e capisce che la lezione è in corso, la maestra è di fronte a loro e un gesto plateale significherebbe l'interruzione della spiegazione e la conseguente sgridata. Decide allora di agire nell'ombra. Lascia lentamente scivolare il sedere sulla sedia, allunga in maniera accorta il piede sinistro verso la gomma, la aggancia con la suola e in due soli tentativi riesce a riportarla ad una distanza minima dai piedi della seggiola. A questo punto il più è fatto; è un gioco da ragazzi immergere verticalmente la mano sinistra verso l'agognata gomma mantenendo il più possibile il viso eretto e lo sguardo fisso verso la maestra. Zaf, agguantata e recuperata. Ora l'ultimo passaggio, quello più gratificante: sempre senza perdere l'assetto da bambino attento, il braccio sinistro scivola questa volta sul banco fino oltre il confine con il banco di Giacomo e deposita il tesoro, accompagnando la consegna e il conseguente stupore grato del compagno con un sorriso soddisfatto e orgoglioso. La maestra ignara di tutto continua la sua lezione.

 

L'episodio mi ha colpito con la forza di una specie di imprinting sull'insegnamento. Il significato era duplice. Prima di tutto sappi, maestro, che quando farai lezione, soprattutto nei limitati periodi dedicati a spiegazioni frontali, sotto il tuo naso si produrranno decine di pensieri di cui non ti accorgerai. Secondo: sappi che molti di quei pensieri saranno - per i tuoi allievi - enormemente più importanti di quello che stai comunicando tu.

 

Da allora insegnare per me è divenuto il tentativo di limitare il più possibile la lunghezza e la noia degli interventi frontali, di introdurre interattività appena possibile, di chiedere feed-back continui agli allievi e alle allieve che ho di fronte. Ma accanto a ciò, da quel momento è nata un'altra passione, parallela ma indipendente, che tutt'ora mi accompagna in classe: la curiosità nei confronti della distrazione dei bambini.

 

Cosa pensano i bambini che si distraggono? Non è una curiosità che parte solamente dal bisogno di essere “efficaci” nel suscitare la motivazione e l’attenzione didattica; è una curiosità gratuita, da impiccione, da esploratore… Immagino che i pensieri della distrazione che conquistano i miei alunni e alunne siano come l’angioletto e il diavoletto di Paperino – l'uno e l'altro insieme – che bussano alla loro mente e porgono la mano ai loro pensieri per invitarli a fare un giro… a zonzo, flâner… Una passeggiata succulenta che spesso non ha confronti con quella che io vado proponendo…

 

Così di tanto in tanto faccio domande. Mi fingo antropologo e, con studiata noncuranza, li interpello negli intervalli o a tavola: “a ché pensavi quando prima ti sei distratto?” “dove era andata la mente?” La cosa assolutamente indispensabile è sciacquarsi di dosso ogni ombra valutativa sulla distrazione – e non è facile, per chi è maestro. Infatti attorno alla quotidianità scolastica si forma involontariamente un “contratto didattico” che riunisce le regole implicite di relazione: tra queste campeggia il biasimo della distrazione e da qui tutti i corollari comportamentali di difesa (chi si distrae dissimula, nasconde, mostra imbarazzo). Quando il soggetto - che per forza di cose spesso recita la parte del censore - chiede che la si racconti, il primo riflesso involontario comprensibile è quello di negarla o raccontarne solo una parte.


Eppure su cinque o sei ore di scuola (attività formalizzata) al giorno, tipiche ad esempio di una scuola a tempo pieno, i pensieri di distrazione non possono che occupare la maggioranza del tempo se vogliamo che la salute psichica delle creature si conservi. Quella distrazione quindi è indispensabile e vive in sinergia e equilibrio dinamico con l’attenzione. Gianni mi spiega timoroso che quando l’ho chiamato a ripetere l’argomento della spiegazione stava pensando all’automobilina che gli hanno regalato e che avrebbe montato quella sera stessa, gli chiedo come è fatta e allora si scioglie e racconta che ha un motore e ruote in gomma e va a pile e... e... e... ecco il desiderio e il piacere che si mostrano, i forti antagonisti delle mie lezioni… Ecco che Gianni si fida e ritiene che la seduzione di quella macchinina possa essere compresa (e magari condivisa) dal maestro che lo ascolta…

 

Con il passare del tempo ho cambiato metodo di rilevazione. Al termine di un ciclo ho usato la telecamera, perché con essa potevo limitare ulteriormente l’effetto emotivo che la mia presenza provoca sulle ragazze e sui ragazzi - la presenza di chi rappresenta l’istanza dell’attenzione. Una mattina l’ho piazzata in classe, collegata alla televisione, i ragazzi fuori nei corridoi a fare semplici operazioni. Chi voleva (subito, domani, quando si stancava, quando riacchiappava un pensiero di distrazione) poteva entrare e pigiare REC, sedersi e raccontare le occasioni in cui partivano i pensieri e i sogni, le sue distrazioni, le sue riflessioni su questi eventi… Alcuni lo hanno fatto da soli, altri si sono fatti accompagnare dalle amiche o dagli amici… Lo abbiamo rifatto il giorno seguente perché chi all’inizio non sapeva cosa dire, ora aveva fatto attenzione alla sua distrazione e voleva registrare anche i suoi pensieri. Io mi rivedevo a casa il tutto con la collega, imparando molto e molto divertendomi. Poi abbiamo guardato insieme a scuola una parte dei pensieri, quelli che hanno avuto la “liberatoria degli autori”. Non potete nemmeno immaginare quanto avventurosa possa diventare l'immagine di un albero che campeggia fuori dalla finestra, quanto il suono di una cornacchia possa catturare una mente mentre si fa una divisione, quanti sentimenti circolino tra i banchi mentre spieghiamo il ciclo dell'acqua...

 

Alla fine vengono dei dubbi, ti viene da chiederti davvero se in alcuni giorni noi maestri non faremmo meglio a interrompere la lezione e a mettere in cattedra i sogni e le distrazioni di chi ci sta di fronte. O forse dovremmo imparare sempre di più a far finta di concentrarci sulle lezioni al solo scopo di spiare i pensieri che scappano, i loro viaggi…

 

Download
LA TESTA TRA LE NUVOLE.pdf
Documento Adobe Acrobat 110.1 KB