MACCHINE DA LAVORO
di Giovanni Briguglio
Chi sono la bidella e il bidello nella scuola elementare di oggi? Macchine da lavoro. Così ci considerano e così ci vogliono. Un aspirapolvere, oppure una scopa elettrica. Una lavastoviglie. Androidi che puliscono, semplici esecutori della messa in igiene della scuola. Si sa, è l'ottica aziendalista che scompone i compiti in pezzetti sempre più frammentati, sempre più schematici, per nulla interessata a come viene fatto il lavoro, al fine per cui è realizzato. Nessuna attenzione alla dimensione umana, non solo per noi che puliamo, ma nemmeno per il contesto di relazioni in cui lo facciamo.
Noi puliamo in una scuola che funziona, ci muoviamo accanto a insegnanti che sfilano con le file di bambini, puliamo le classi mentre i bambini sono in cortile, puliamo i bagni tra una pipì e l'altra. Insomma, non siamo automi e i bambini ci conoscono, parliamo con le maestre, se cade del brodo lo si raccoglie insieme, chi arriva prima lo fa. Insomma, siamo al centro di momenti importanti della vita della comunità scolastica, quella che potrebbe essere una comunità educante. Ma che quando ci considera come meri esecutori di compiti va nella direzione opposta.
L'alienazione non è solo la nostra nel non venire considerati come persone, ma è quella dell'intera scuola che si perde in questo modo relazioni umane preziose per stare bene. Purtroppo questa parte della nostra presenza a scuola non interessa più a nessuno. Le nuove organizzazioni attribuiscono ad ognuno il proprio pezzetto di compito e di responsabilità, nessuno sconfina, nemmeno per risolvere il problema più banale: manca un pasto, chi ci pensa? Nessuno perché ognuno ha la competenza limitatissima al suo e non si allarga: lo scodellatore no, l'insegnante no, il centro pasti neppure, il bidello nemmeno. La vita scolastica non è più fatta da situazioni che si risolvono insieme, ma da competenze giustapposte e problemi che spettano all'uno o all'altro, e se erano imprevisti rischiano di rimanere irrisolti.
Il fine dell'istituzione ora sembra quello di avere degli esecutori, non una collaborazione consapevole e motivata. Quella che ancora sopravvive nelle scuole è fondata sulla disponibilità dei singoli e sulla formazione autonoma che molti/e di noi hanno accumulato in un passato in cui era maggiore l'interesse a questi aspetti, ma che ora sembra non richiesta. Se si considerano le ultime disposizioni ministeriali per le quali un collaboratore scolastico che si ammala può non essere sostituito per i primi dieci giorni, possiamo ricavarne che questa collaborazione venga considerata persino superflua, comunque poco importante.
Nel mio passato infatti ci sono esperienze diverse. Quando facevo il bidello nelle scuole dell'infanzia, la gestione dei bidelli era comunale. Poiché veniva riconosciuto il nostro ruolo di relazione con i bambini, eravamo coinvolti nei percorsi di aggiornamento e di gestione di momenti comuni con gli insegnanti. Partecipavamo alle riunioni plenarie, uno spazio di confronto aperto alle diverse figure che erano presenti nella scuola. Facevamo alcuni aggiornamenti insieme agli insegnanti, magari a partire dalla proiezione di un film e dalla successiva discussione. Questo rinforzava anche la cooperazione a scuola. In quel contesto svolgevamo anche al meglio il ruolo di canale di comunicazione tra i vari soggetti; anche perché i vari soggetti, noi compresi, si conoscevano e si sentivano parte di una comunità educante. Tutti ci occupavamo della scuola intera, attraverso la cooperazione. Questa situazione si è conclusa quando è iniziata l'esternalizzazione.
Accettare di perdere dei pezzi che sono anche coaguli di esperienza, che quindi non vengono più trasmessi ai lavoratori più giovani o a chi entra oggi, mentre non sono più organizzati nuovi momenti i di formazione e di crescita collettiva. Lo stesso passaggio dagli enti locali allo Stato è avvenuto senza il riconoscimento dell'anzianità: una sottrazione non solo economica, ma anche una cancellazione simbolica, la cancellazione di un'esperienza che era integrata e aveva arricchito di sapere il nostro modo di lavorare nella scuola, con le insegnanti e con i bambini. Oggi quindi siamo in una situazione di passaggio. Le bidelle e i bidelli partecipano a momenti importanti della vita dei bambini a scuola, ad esempio alla mensa, al momento del nutrimento. In fin dei conti le bidelle spesso accolgono i bambini a scuola, gli prestano le prime cure se si fanno male, sostengono chi è in difficoltà, non nella didattica, certo, ma ad esempio chi sta male, in attesa dell'arrivo dei genitori. Eppure, anche in questi momenti importantissimi, la sensibilità e la competenza sembra quasi che non siano più richieste, non interessano più. L'umanità che ancora è presente in questi momenti è un residuo del passato? Certamente è qualcosa in cui molti/e di noi continuano a credere e che si ostinano a mettere in pratica, al di là della scuola parcellizzata che vorrebbero farci digerire.
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