LA SCOPERTA DELL'ACQUA FREDDA

di Gianluca Gabrielli

 

Tutti i giorni, prima di andare a pranzo, i bambini della classe prima in cui insegno si lavano le mani in un lavandino dotato di due rubinetti. L'acqua che scorre non è riscaldata e il mese scorso usciva talmente fredda che era difficile resistere a strofinare le mani più di qualche secondo. Era “fredda come un pinguino”, come ha sintetizzato in maniera pregnante una bambina. Così abbiamo aperto la discussione. Come mai era così fredda?

 

All'inizio dell'anno scolastico non era così, questa consapevolezza era comune a tutti i bambini. E nei nostri rubinetti non figurano i simboli che differenziano l'acqua calda da quella fredda nei bagni di casa o “nelle docce della piscina” (pallino rosso e blu, “C” e “F”) - come aggiunto da altri interventi. Quindi questo raffreddamento doveva avere a ché fare con la stagione (“è autunno”), con l' “abbassamento della temperatura”. Alcune mattine prima avevamo notato insieme la brina e il ghiaccio di una gelata notturna, da cui l'associazione con le nevi e i ghiacciai montani. Freddo, autunno, brina, nevi, ghiacciaio: la connessione è a punto, non resta che cercare di articolarla al meglio. Eccone una: “il ghiaccio si è sciolto ed è diventato acqua. L'acqua è fredda perché era ghiaccio”. Bene. Ma rimane il problema della provenienza di tutta quell'acqua fredda. “L'acqua viene dal fiume e sta fuori, per questo è fredda” sintetizza una bambina. Ma come passa dal fiume alla scuola?

Qui i bambini non hanno aiuti dalla percezione; i pozzi sono scomparsi dall'immaginario occidentale e non abbiamo la fortuna di avere in classe bambini provenienti da parti del mondo in cui sono ancora attivi. Quindi non è facile unire l'acqua che “sgorga” nella scuola ai ghiacci e ai fiumi freddi provenienti dalle montagne. Ci deve essere un tramite, un anello di congiunzione. La soluzione logica emerge con forza, è impersonata dalle nostre “dade”, le bidelle che mettono in comunicazione la scuola con l'esterno (merende, uscite anticipate, circolari): “Forse in montagna si sono sciolti i ghiacci e dei signori li hanno portati alle dade che hanno fatto l'acqua”; oppure “L'acqua è venuta dalle montagne, era neve, poi si è sciolta, è andata nel fiume, poi dei signori l'hanno presa e portata alle dade”.

 

E' bello vedere come una mente (e un corpo) collettivo come la classe affronta questi problemi scientifici. Come cerca soluzioni, risposte, seguendo connettendo il sapere mutuato dal mondo degli adulti e a volte usando le affermazioni dei compagni e delle compagne, cercando risposte a domande che fino a quel giorno sonnecchiavano nella falsa naturalezza della vita quotidiana. Difficile trattenersi - come insegnanti – dal dare risposte in questi frangenti, ma con un po' di allenamento ci si riesce e si spostano i propri interventi alle tappe successive, concentrandosi ora su un aspetto, ora sull'altro, cercando però di non infrangere il “sistema” che la mente collettiva ha messo a punto per darsi una ragione causale delle cose. Consapevoli che la scuola è solo uno dei tanti “rubinetti” di conoscenza che forniscono a getto continuo conoscenze e misconoscenze e che l'apporto più prezioso che può arrivare dalla scuola è l'habitus di vagliare criticamente e collettivamente questo enorme flusso caotico cui siamo sottoposti quotidianamente.

 

Un aspetto in particolare però mi ha colpito in questa discussione, proprio perché non ci avevo mai pensato. La difficoltà insormontabile per i bambini nel completare le diverse catene causali ipotetiche era originata dal tratto finale dell'acquedotto. La città è un ambiente non solo complesso, ma in cui gli elementi di connessione sono nascosti. I tubi dell'acqua passano dentro i muri delle case, e scorrono sottoterra fuori dagli edifici, per cui diventa logico pensare che dal fiume al lavandino ci possa essere un pulmino simile a quello che ci porta giornalmente i pasti. Allo stesso modo sono nascosti i fili elettrici, i tubi del riscaldamento, i tubi delle fognature. La forma delle nostre città è costruita per non essere compresa, per nascondere i sistemi di circolazione.

Si occulta per garantire la sicurezza? E' l'estetica delle forme levigate a guidare gli architetti? Non so, non sono esperto. Però questa forma ci espropria di una formidabile palestra su cui esercitare le relazioni causali, o meglio, ce le presenta in una forma astratta, spiegabile solo attraverso modelli preparati ad hoc (solo alla scuola media diventa oggetto di studio nelle applicazioni tecniche). Ci hanno nascosto la città in carne ed ossa (e sangue).

 

Campanella pensava di affrescare le mura della Città del Sole con immagini didattiche, a me basterebbe poter disporre di qualche tubo in vista, qualche aspetto non nascosto della nostra complessità metropolitana su cui attirare di quando in quando l'attenzione dei bambini. Nell'attesa, ci faremo abili a cogliere nelle crepe delle nostre splendide metropoli levigate le occasioni per sbirciare sotto la superficie delle cose. Basta affacciarsi ad una transenna di lavori in corso per avere la rivelazione della complessità che scorre sotto le gomme delle nostre auto. Un bambino ce l'ha raccontato, entusiasta: “Un giorno ho visto che scavavano una buca in una strada e c'erano dei tubi rotti e usciva tanta acqua”. Un bell'allenamento, a non accontentarsi della superficie, a cercare di comprendere le connessioni profonde.