KAFKA DAVANTI ALLA PORTA DELL’INVALSI
Per una didattica contro i test standardizzati
di Matteo Vescovi
Recentemente, la presidente dell'Invalsi intervistata da una giornalista del Sole 24 ore, nota rivista pedagogica, ha lamentato il fatto che i docenti italiani non abbiano ancora sufficientemente modificato la propria didattica per adeguarsi alle richieste dell'Ente Valutatore. Lamentazione che suonava quasi come un'ordine (ma i test Invalsi non dovevano essere uno strumento neutro, "un termometro della scuola"?). In ogni caso, vorrei rassicurare la presidente sul fatto che, già da qualche anno, questi test hanno ottenuto una certa influenza. C'è, infatti, chi con più o meno convinzione ha cominciato ad allenare i propri alunni con batterie di test e c'è chi si è fatto influenzare in modo opposto, adottando questo semplice principio: fare ciò che l'Invalsi non potrebbe mai fare.
Anche in questo caso le cose sono abbastanza semplici, basta prendere alcuni principi legati alla somministrazione dei test e ribaltarli. Per esempio: per l'Invalsi ciò che conta è il risultato, per noi ciò che conta è il percorso, il ragionamento, lo scarto tra ciò che sapevo e ciò che ho imparato; per l'Invalsi ciò che conta è fornire subito una risposta, per noi ciò che conta è l'elaborazione della domanda, la costruzione del sapere attraverso l'indagine e l'approfondimento; per l'Invalsi ciò che conta è il punteggio finale, la comparabilità dei singoli punteggi, la graduatoria, per noi ciò che conta è il grado di soddisfazione raggiunto, il senso di appagamento per il compito ben svolto, per le nuove domande rimaste sul campo da cui è possibile ripartire; per l'Invalsi è necessario essere fattivi, non dubitare mai delle sue richieste, per noi ciò che conta è sviluppare il pensiero critico, divergente, poter anche mettere in discussione l'autorità.
E non potrebbe essere diversamente perché per l'Invalsi, supremo frutto delle tecnologie del controllo attraverso la performance, ciò che conta è produrre un individuo flessibile, cioè che sa adattarsi alle richieste della società e del mercato del lavoro. Il perseguimento di questo obiettivo dichiarato produce uno stravolgimento del processo di apprendimento e ciò è tanto più evidente se si pensa agli alunni di seconda elementare, in cui lo choc provocato dall'inserimento improvviso dell'impossibilità di correggere le risposte e del rispetto di tempi contingentati, in nome di una pretesa validità statistica, è il marchio di infamia di questo "nuovo" strumento disciplinare che in un sol colpo ripristina pratiche scolastiche ottocentesche.
Per noi, invece, ciò che conta è formare un cittadino autonomo, padrone delle proprie idee e capace di leggere criticamente il mondo che lo circonda, perché consideriamo che attraverso l'istruzione sia possibile costruire quelle forze che continueranno la battaglia per superare l'attuale stato di ingiustizia sociale determinato negli ultimi trent'anni dalle politiche neoliberiste. Il nostro compito, però, non si esaurisce nell'immaginare una didattica inassimilabile dall'Invalsi, perché è necessario mettere la stessa dedizione anche nel boicottare in ogni modo possibile la somministrazione di queste prove.
C'è un racconto di Kafka, "Davanti alla legge" che da qualche anno utilizzo a fine della seconda superiore di un Istituto Tecnico per spiegare la differenza tra comprensione e interpretazione di un testo. Lo propongo a metà del secondo quadrimestre in prossimità delle prove Invalsi, nella speranza di suscitare negli alunni un confronto critico tra questo approccio e quello delle prove. Si tratta di un testo molto breve, ma dal significato enigmatico.
Un uomo di campagna giunge di fronte alla porta che dà accesso alla Legge. Qui trova un guardiano che lo ferma e lo invita ad aspettare di ottenere il permesso per entrare. Diversamente, è avvisato che, se vorrà fare di testa sua, andrà incontro ad altri guardiani ben più potenti e minacciosi del primo. L'uomo, sorpreso da tali difficoltà che non aveva previsto, decide di aspettare pazientemente il permesso. Attenderà tutta la vita, morendo di fronte all'ingresso della Legge. Solo in punto di morte il guardiano, che non pare essere invecchiato, gli rivela che la porta davanti a cui ha aspettato era destinata solo a lui e che ora andrà a chiuderla.
Così si conclude il racconto. Non è dato sapere altro dei personaggi e dei luoghi che vi compaiono, né è possibile stabilire la durata dei fatti e il grado di veridicità. Numerose chiavi di lettura sono disponibili all'interpretazione del lettore e le implicazioni di ognuna di esse possono potenzialmente essere infinite. Probabilmente questa è una delle ragioni principali per cui Kafka lo ha collocato anche nelle ultime pagine del romanzo "Il processo", quasi a sigillo della impossibilità per il protagonista di ottenere una spiegazione, una giustificazione della colpa commessa.
Appositamente, propongo questo racconto senza alcuna spiegazione e alla fine della lettura, agli sguardi stupiti degli alunni chiedo di scrivere nel quaderno sotto forma di domanda tutti gli aspetti che non hanno compreso. Dopodiché raccogliamo alla lavagna l'elenco di tutte le domande, cercando di chiarirle e raggruppando le simili. In questa fase è sempre necessario spiegare alcuni fraintendimenti riguardo alla comprensione letterale del testo, come per esempio chiarire che l'uomo muore senza entrare attraverso la porta della Legge, o dubbi simili. Solitamente, sono i compagni di classe che hanno già capito che possono spiegarlo agli altri. Una volta superata collettivamente questa fase rimangono le domande riguardo all'interpretazione vera e propria.
Ecco le principali: cosa si intende per "porta della Legge"?; perché il contadino non può entrare?; chi sono i guardiani e perché non invecchiano?; per quale motivo il contadino vuole entrare nella Legge?; perché egli continua ad aspettare per tutti quegli anni?; cosa pensa il primo guardiano del contadino?; perché se la porta della Legge era destinata al contadino, il guardiano glielo rivela solo in punto di morte?; cosa voleva comunicare l'autore con questo racconto?
A questo punto il compito diventa individuale: ognuno risponde a tutte le domande selezionate. L'obiezione è sempre: "Ma prof, come facciamo a rispondere se le abbiamo fatte noi queste domande? Se avessimo avuto la risposta non le avremmo fatte!" Io: "Ma prima non le avevate tutte insieme e questo cambia tutto." In effetti, in poco tempo, ogni alunno, per poter rispondere, è portato a formulare un'ipotesi coerente sul significato complessivo da attribuire al racconto.
Possiamo, quindi, passare al confronto tra le varie ipotesi interpretative, non senza aver scartato quelle che non trovano alcun "ancoraggio" nel testo (come ad esempio l'idea che i guardiani siano dei personaggi dei fumetti). Di seguito, riporto un elenco dei livelli interpretativi che solitamente emergono alla fine di questa fase del lavoro.
· Teologico: la porta della Legge rappresenta il mondo dei beati;
· Socio-politico: la porta della Legge rappresenta l'ingresso nei luoghi del potere sovrano;
· Giuridico: la porta della Legge rappresenta l'ingresso nei palazzi di giustizia;
· Psicologico-esistenziale: la porta della Legge rappresenta l'ostacolo che il contadino deve superare per realizzare la propria esistenza.
Per esperienza, posso dire che l'ipotesi più gettonata in queste classi di adolescenti è sempre quella psicologico-esistenziale. Molto forte è la tendenza ad immedesimarsi nel contadino e a pretendere dal personaggio di "superare l'ostacolo", disobbedendo al divieto del guardiano. In ogni caso, c'è sempre qualcuno che propone anche le altre chiavi di lettura.
Infine, dopo aver sviscerato le diverse ipotesi e aver provato la loro legittimità, bisogna decretare quale sia l'interpretazione corretta, che ormai è attesa come se si trattasse di un quiz televisivo. Così sono costretto a confessare che nessuna di esse può ritenersi "la vera" interpretazione, ma l'insieme di tutte le ipotesi che abbiamo raccolto è l'interpretazione del racconto. Faremo torto a Kafka se volessimo eliminare tutte le ipotesi a favore di una sola e per questo è più corretto parlare di vari "livelli", dato che l'interpretazione di un testo è simile all'insieme dei numeri dispari: tendenzialmente infinito, ma non illimitato.
Arrivare fino a qui è già chiedere molto, per cui di solito ho sempre chiuso l'attività su questa definizione. In terza con Dante e il medioevo avranno modo di riprendere la questione. Quest'anno, però, ho voluto portare avanti l'esperimento con un'attività "a trabocchetto". Passata la prova Invalsi, ho preparato un test a scelta multipla su questo racconto e ho chiesto loro di compilarlo senza chiedere nulla (proprio come erano stati abituati a fare durante le prove Invalsi). Qualcuno ha provato a contestare, ma al mio silenzio ha presto deciso di completare la scheda. Il lavoro in effetti appariva leggero: 7 domande con quattro possibili risposte già formulate dall'esaminatore. E il tempo impiegato non è stato molto, anche se qualcuno si attardava, incapace di scegliere.
Il problema era questo: che le domande erano simili a quelle che avevamo già analizzato e le risposte corrispondevano ad ognuno dei livelli di intepretazione che avevamo individuato in classe e su cui avevamo concluso che non si poteva operare una scelta, perché andavano considerate tutte plausibili, quindi valide. Per quanto mi riguarda, la vera questione ora era di scoprire quanti si sarebbero rifiutati di scegliere tra risposte che sapevano essere ugualmente vere, indicando come corrette tutte le risposte.
La risposta: nessuno. Tutti, anche se manifestando un certo disagio, hanno scelto di crocettare una sola risposta e la quasi totalità indicando come vero il livello "psicologico-esistenziale". Solo una persona ha scelto quello "giuridico" e nessuno quello "teologico", né quello "politico-sociale". In generale, tutti hanno cercato una coerenza, selezionando di fatto l'interpretazione che poteva sembrare più plausibile. Ho cominciato, allora, correggendo la prima domanda e dichiarando false ad una ad una tutte le risposte. A quel punto qualcuno ha gridato, "Ma come, non è possibile!" e un altro: "Ma se erano tutte vere!" e, al mio sorriso, un altro: "Prof., un momento, ho capito: questo è una specie di quei test psicologici e lei ci ha ingannati!".
La cosa è proseguita poi con un leggero senso di umorismo che aveva preso tutti noi. Voti non ce ne potevano essere. Un'unica raccomandazione: "E pensare che vi avevo anche dato un aiutino nell'ultima risposta, dove era scritto: «trovando sempre nuove strade, anche quelle che non ci sono suggerite esplicitamente»." ... "Sì, vabbè prof.!"
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