BOCCIARE O NON BOCCIARE?
di Alessandro Palmi
Amletico dubbio nel quale mi ritrovo sempre più spesso coinvolto negli ultimi anni, in particolare pensando alle classi del biennio del tecnico industriale ed ai relativi scrutini. Chiarisco subito che da oltre 30 anni ho sempre avuto una posizione chiara in merito, posizione che solo negli ultimi anni ha iniziato a vacillare togliendomi una delle poche certezze che avevo nel mio lavoro e mettendomi in una situazione di via via crescente indecisione.
Ho sempre considerato mio dovere oppormi alla selezione, ho sempre ritenuto non educativa una bocciatura ed ho sempre avuto grosse resistenze ad ergermi a giudice nei confronti di ragazzi e ragazze adolescenti; senza contare che poi esistevano i docenti progressisti e di sinistra, che erano quelli che promuovevano, e quelli reazionari di destra che bocciavano ed erano per la selezione, quindi io ero già felicemente schierato grazie ai miei pregiudizi ideologici e pedagogici… ora mi dicono che non esistono più la destra e la sinistra quindi non posso più facilmente catalogare in questo modo i miei colleghi…
Scherzi a parte sono comunque sempre stato convinto, e lo sono tuttora, che il posto giusto per ragazzi e ragazze tra i 14 ed i 16 anni sia la scuola, mi limito a questa fascia di età perché è proprio dei bienni del tecnico che voglio parlare, ma ovviamente questo è valido anche su di un arco temporale ben più ampio; quando dico scuola mi riferisco alla scuola pubblica nelle sue articolazioni e non a surrogati più o meno validi di tipo confessionale o enti di vario tipo che hanno come fine la produzione di utili o nati da quell’astruso concetto venuto tanto di moda che va sotto il nome di “sussidiarietà”.
Dunque dicevamo, ho sempre fatto del mio meglio per evitare bocciature e per far sì che gli studenti e le studentesse subissero il meno possibile ciò che ora viene chiamato dispersione scolastica.
Intendiamoci non è che propugno il fatto di regalare i voti e non lavorare sugli apprendimenti, ho sempre cercato di dare il massimo a chi stava in classe con me, di far lavorare, anche duramente, di far sì che si scontrassero con le difficoltà ed anche con le fatiche dell’imparare, però in un’ottica di ricerca delle soluzioni, di rispetto e di voglia di crescere e sempre cercando di costruire relazioni positive. Accadeva spesso che si lamentassero della difficoltà degli argomenti e delle prove, io ho sempre cercato di spronarli/e a superare le difficoltà per aumentare la loro consapevolezza e le loro conoscenze, non per avere dei “voti”.
Mi sono sempre posto il problema di quanto fosse ciò che davvero apprendevano e quanto duraturo fosse tale apprendimento, ho cercato di adattarmi al loro livello ed alle loro capacità senza per questo banalizzare il mio lavoro od i contenuti che volevo/dovevo veicolare; certo il fatto di insegnare una materia scientifica che spesso viene recepita come astrusa e lontana (chimica) non mi ha aiutato, ma cercavo comunque di fare il meglio possibile, questo nonostante dal potere costituito non arrivasse nessun tipo di aiuto… anzi in genere tagli di risorse, “riforme” indecenti ed intrusioni ideologiche via via di stampo sempre più aziendalistico ed individualistico con modelli culturali che, alla faccia del politacally correct tanto spesso enunciato, mi fanno abbastanza orrore.
Adesso però stiamo arrivando ad un punto in cui la situazione mi si complica, ci si trova di fronte a classi che spesso sono intorno ai 30 allievi, dalle più diverse provenienze e culture, accomunati però da due elementi distintivi ed assolutamente trasversali: da una parte, di essere cresciuti in anni di quello che definisco degrado culturale pubblico (nato e sostenuto con forza dalle tv berlusconiane ed ora diffuso a tutti i livelli della società e dei vari media ed in parte incrementato dal distorto uso delle tecnologie informatiche), dall’altra di essere il prodotto della selezione/orientamento dei cari colleghi e colleghe delle medie che pare si siano posti/e come missione quella di separare anzitempo il grano dalla pula e di indirizzare alla veneranda età di 13 anni ragazzi e ragazze verso il loro percorso più o meno luminoso, decretandone in buona parte il destino scolastico.
Ovviamente queste classi spesso diventano luoghi che definire di apprendimento rivela una grossa dose di ottimismo, dove un’altra schiera di cari colleghi e colleghe non trova nulla di meglio da fare che proseguire nell’opera di “pulizia” (che a volte diventa pure etnica) per accompagnare il peggio dei peggiori fuori dalla scuola.
Come contraltare stanno prendendo piede le tante attività contro la “dispersione scolastica”, che oramai è uno dei problemi centrali; peccato che spesso il problema sia affrontato pensando che si tratti semplicemente di “abbassare il livello”, di “rendere le cose (quali?) più interessanti”, finendo così per organizzare attività più o meno curiose, sotto il nome di progetti, che dovrebbero attrarre questi giovani che, semplicemente, vivono l’istituzione scuola come nemica ed i docenti come suoi gendarmi.
Il risultato è spesso quello di trasformare i docenti in una sorta di guitti o di andare verso una banalizzazione dei concetti che sicuramente non aiuta la crescita di nessuno/a, oppure di inseguire miti come quelli legati ai supposti effetti taumaturgici delle “nuove tecnologie”; od una serie di altre amenità senza però quasi mai incidere realmente sugli aspetti relazionali e senza capire davvero il clima che esiste ora come ora nelle classi.
Tutto questo trova poi una sua catarsi in quella sorta di psicodrammi che sono gli scrutini, dove decine di ragazzi e ragazze trovano deciso il loro destino principalmente a causa delle alchimie di combinazione dei vari conigli di classe, così che chi ha la sventura di trovarsi nel consiglio di classe ove si sono incontrati docenti di matematica, fisica e chimica particolarmente feroci viene troncato senza speranza mentre dove non vi sono queste concentrazioni si salvano (bene, così imparano subito che la vita è una grande lotteria).
Come dicevo all’inizio, non ho mai avuto dubbi su quale sponda posizionarmi, però sta diventando veramente difficile; perché sarà pur vero che siamo contro la selezione e che la scuola è il posto dove devono stare gli adolescenti, ma viene da chiedersi se esiste un livello che sia pur minimo di conoscenze e capacità che un discente deve raggiungere per proseguire gli studi.
Qui sta il nocciolo del problema, o si ammette che la priorità è la permanenza nella scuola, qualunque sia il livello raggiunto, ed allora l’unica soluzione sarebbe di eliminare il concetto stesso di bocciatura al biennio e come scuola dell’obbligo stabilire che semplicemente ogni ragazzo ed ogni ragazza prosegue nel suo iter in ragione di un processo legato alla sua crescita come persona e sganciato dai contenuti specifici appresi; oppure si fissano dei “minimi” al di sotto dei quali si “comincia a bocciare”… ma questo non risolve nulla: infatti quali sarebbero questi minimi, come sarà possibile valutarli nei diversi contesti?
Io penso che andare verso la prima soluzione, sarebbe comunque rispettoso di quella che deve comunque essere la caratteristica di un luogo di crescita ed apprendimento: essere al “servizio” di chi sta esercitando ed usufruendo del diritto all’istruzione, quindi decidere d’ufficio che chi entra in questo percorso procede comunque e lo farà anche in base alle sue capacità e predisposizioni, ma l’opportunità è data a tutti e tutte liberamente, gratuitamente.
Non è la perfezione, ma ci potremmo liberare di alcuni ostacoli: il primo (più importante) è il feticcio del voto che a mio modo di vedere, così come è inteso ora, è uno dei principali ostacoli ad un reale apprendimento; in secondo luogo si guadagnerebbe in dignità, non avremmo più dirigenti che entrano negli scrutini portando le tabelle delle percentuali di bocciature e cominciano a fare pressioni affinché “i numeri” (di bocciati) migliorino e si attestino sulle “medie attese”.
Questo in un mondo ideale; poi attualmente mi trovo sempre più di fronte a livelli di apprendimento che sono talmente bassi, livelli di inconsapevolezza tali che realmente mettono in crisi quanto detto sopra. Credo che dovremmo cercare di capire le ragioni più profonde che fanno sì che per molti studenti e studentesse la scuola sia percepita di una inutilità assoluta ed affrontata con livelli di motivazione sotto lo zero.
Ma se non è più vero che la scuola non selettiva, senza voto, amica può funzionare; se continua ad essere vero che la scuola severa, dura e selettiva non funziona, o è semplicemente un mito del passato (rimpianto da tanti/e colleghi/e confusi/e); allora, dove possiamo trovare la soluzione?
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