GARBAGE PROJECT
di Gianluca Gabrielli
Eravamo quattro classi quel giorno al Giardino della Zucca, a Bologna, vicino al museo di Ustica. Due quinte elementari e due prime medie, quelle coinvolte nelle attività di conoscenza in vista del passaggio tra scuola elementare e scuola media. Ai bambini era stato affidato il compito di pulire il giardino. Dotati di guanti e qualche pinza-raccogli-rifiuti, in piccoli gruppi, le ragazze e i ragazzi sono partiti e per mezz'ora hanno setacciato un luogo che conoscevano come spazio di gioco di quartiere (nonché come luogo di ricreazione scolastica durante i duri giorni del distanziamento covid).
Quelli della nostra classe però avevano un equipaggiamento e un ordine particolare: erano dotati di una sacca a tracolla dove dovevano conservare ciò che avrebbero trovato invece di gettarlo nei normali cestini dell'immondizia.
Non era la prima volta che consideravamo con rispetto e curiosità i rifiuti. Due anni prima avevamo organizzato una "caccia alla traccia" proprio in quel giardino e avevano fotografato o raccolto resti di vita umana. Carte di caramella e tappi di bottiglia erano stati analizzati e schedati a formare un piccolo archivio di classe. Ognuno di quegli oggetti poteva avere una storia, ognuna di quelle tracce poteva essere trasformata in un documento storico dall'intelligenza delle bambine e dei bambini; ...certo, una storia “contemporanea”, molto recente, appena accaduta, ma comunque storia. I bambini in seconda si erano già esercitati a fare ipotesi su quel passato recente, un po' traendo inferenze probabili, o almeno possibili, o addirittura impossibili, giocando ad oltrepassare il confine tra realistico e fantastico. La carta di caramella ad esempio ci parlava di qualcuno che l’aveva scartata, mangiata e poi gettata, ci suggeriva anche le sue preferenze di gusto; ecco come la raccontava Rayan: “è una carta delle caramelle è fatta di plastica, è lunga, è colorata, poi è stata persa da una [bambina] della scuola Federzoni. Costa 10 centesimi. [Si chiama] Drib[b]ling Goleador. L[’h]anno mangiata e poi un bimbo l[’h]a buttata per terra poi l[’h]o raccolta io”.
Capire un giardino dai suoi rifiuti
Questa volta però si trattava di fare un salto di qualità. Non andavamo più a raccogliere e analizzare il singolo “reperto archeologico contemporaneo”, non ci bastava più la semplice inferenza per risalire al singolo “inquinatore cittadino”. Qui avevamo l’occasione di analizzare i rifiuti dell'intero giardino, o almeno un quarto di essi, visto che le altre tre classi avevano gettato il loro “prezioso raccolto”. Un giardino è un organismo composito che vive in simbiosi con la cittadinanza che lo abita e lo frequenta. Di tutti gli umani che lo attraversano, una parte vi getta immondizie, qualcuno lo fa apposta e altri probabilmente lo fanno per noncuranza, per evitare di tenersele in tasca, sicuramente per uno scarso rispetto del luogo e delle altre persone che lo popolano, ma a volte anche per distrazione, perché noi tutti smarriamo oggetti. Così il quesito che ci siamo presi in carico come classe era: cosa possiamo capire della gente che frequenta il giardino partendo da un campione dei suoi rifiuti?
Quando fai la maestra o il maestro ti devi assumere alcuni oneri, in questo caso quel briciolo di sperimentale che c'era nella didattica mi imponeva di lavare i reperti per renderli lavorabili in sicurezza dai bambini (...sì, lo so, così ho cancellato molte tracce, non fatemici pensare!). Non è stato un compito lungo e neppure particolarmente disgustoso, era comunque necessario per consegnare alla classe reperti in gran parte puliti, maneggiabili con tranquillità pur con i guanti.
Classificare, incollare, interpretare
Il primo lavoro che abbiamo fatto a scuola è stato di classificare i reperti per tipologie. Il riferimento altisonante era alle classificazioni tipologiche dei reperti archeologici, una delle prime conquiste metodologiche dell'archeologia moderna. Finché sono mozziconi di sigaretta sembra facile, ma altri oggetti sono classificabili solo dopo un primo sforzo di comprensione della loro identità, specie se sono frammenti, resti incompleti. Una volta classificati occorreva fissarli su un supporto in modo da renderli disponibili a tutti. Così il gruppo di lavoro che si è offerto ha incollato i reperti in alcuni cartoncini colorati a seconda della tipologia di oggetti o di materiali. Alla fine sono stati incollati con vinavil e numerati 328 oggetti. La categoria più rappresentata è sicuramente quella delle cicche di sigarette, ben 135; seguono i tappi di bottiglia, oltre sessanta, poi altre tipologie a più bassa frequenza.
A questo punto avevamo il nostro museo, la nostra esposizione completa dei reperti emersi da quella che in archeologia chiamano “ricognizione”. Non restava che analizzare i cimeli. Le bambine e i bambini hanno lavorato da soli o a coppie, a patto però che le coppie cambiassero ogni volta che si passava ad un nuovo reperto. Come insegnanti abbiamo deciso di intervenire pochissimo, correggendo solo l’indispensabile, eravamo già alla fine dell'anno scolastico e ci interessava soprattutto vederli lavorare sforzandosi di pensare cosa significava quell'oggetto in quel giardino, di quale umanità ci parlava, quale cittadinanza distratta o inquinatrice ne veniva fuori.
Le schede
Facciamo qualche esempio.
“Questa - scrive Beatrice riferendosi al numero 147 - è una carta di alluminio, serve per tenere cose calde, appena sfornate. Alcuni ci giocano a fare pallottole di alluminio o per fare figure. Può darsi che qualcuno faceva picnic e faceva festa e alla fine l'ha buttata a terra. Oppure faceva pallottole di carta e l'ha buttata come uno stupido senza pensare alla natura”
Beatrice conosce bene l’uso dei giardini cittadini come luoghi per i picnic, pratica in disuso dopo gli anni Settanta del secolo scorso e riemersa negli ultimi vent’anni come momento collettivo di riaggregazione, dapprima di famiglie di migranti e ora sempre più anche di giovani. Conosce bene anche gli usi ludici che si possono fare della carta di alluminio. La conoscenza esperienziale dei giochi infantili emerge di continuo dai commenti, tanto che verrebbe da suggerire alle archeologhe del contemporaneo di includere nelle loro equipe anche almeno un bambino o una bambina, capaci di suggerire le interpretazioni ludiche relative ai reperti. La stessa sensibilità emerge da ciò che scrive Rodrigo del n. 189:
“È una pallina rossa fatta di plastica. Forse era una pallina per le pistole come se fosse un proiettile. Forse l'hanno persa due bambini nel parco sparandosi tra loro.”
Dalle schede emergono anche le discussioni che si sono aperte tra me e loro quando ci siamo confrontati su singoli pezzi. Sulle linguette di alluminio che servono come aprilattine due bambine avevano segnalato che una (la numero 165) risultava diversa dalle altre. Io ho ipotizzato che si trattasse di una linguetta più vecchia, sulla base della mia esperienza; ma il mio punto di osservazione era limitato e le due bambine nella scheda mi hanno dimostrato che la conoscenza approfondita del territorio di cui disponevano poteva correggere le mie conclusioni affrettate:
“Secondo Gianluca è quella linguetta è molto vecchia ma in verità a me non sembra vecchia perché si trova ancora in succhi che vendono nei negozi afgani e pakistani. Secondo me le
linguette le buttano per terra le persone, o sono maranza o persone normali. [Jasmine e Neama]”
Sulla lattina schiacciata (n. 145) Veronica fa una rapida analisi psicologica (anche qui può contare sulla buona conoscenza del contesto, in questo caso il contesto psicologico dei coetanei), poi sfoggia qualche nozione appresa a scuola o nella vita di relazione e infine propone una spiegazione per la mancanza di linguetta:
“Questa lattina verde e nera magari dei ragazzini per fare i fighi l'hanno schiacciata così per dimostrare qualcosa e poi l'hanno lasciata abbandonata là per terra. La lattina è fatta di alluminio, la sua forma è a cilindro, attorno la lattina ha un colore verde fluo. La lattina non ha la linguetta come quelle dal 151 al 168; ora le lattine non devono togliere le linguette ma altre persone le tolgono per bere più comodamente”.
Molte sono le tracce delle feste, puntualmente intuite dai bambini che nella fase di raccolta non avevano trascurato neppure i singoli coriandoli:
“Questo (201) è un foglio di plastica a forma di un cuore. Forse qualcuno ha fatto festa e ha invitato i suoi amici o qualcun altro e
hanno lanciato queste cartacce e sono cadute a terra [Hafsa].
Secondo me quei coriandoli (201) sono stati lanciati a Carnevale quando si stava festeggiando e non hanno spazzato [Neama].
C'era un palloncino di color rosa (287). Forse qualcuno ha fatto una festa di compleanno, poi il palloncino è scoppiato, poi quando la festa è finita l'hanno lasciato lì [Lara e
Jordan].
Infine segnalo un caso di forzatura interpretativa di due bambini, Milo e Maksym, legata credo ai contenuti di studio praticati in quel periodo in classe, Roma antica in storia e il corpo umano in scienze:
“È un bastoncino (n. 180). Ricorda vagamente la forma di un pene. Forse è una radice di un albero. Forse una persona voleva fare una statua di legno degli antichi romani, ma si è rotta”. [Milo
e Maksym]
Rimpianti didattici
Alla fine i pezzi schedati erano un’ottantina, un buon numero. Tante altre attività didattiche potevano partire da questa prima schedatura del museo ma purtroppo è mancato il tempo. Tra le idee che mi dispiace molto non aver potuto realizzare c’erano le osservazioni sistematiche nel giardino “in vivo”: osservare una persona che beve da una bottiglia o da una lattina, scrutare un fumatore o una fumatrice, i bambini che giocano, studiare gli atti che solitamente ci appaiono insignificanti ma che sempre lasciano tracce. E dopo l’osservazione mi sarebbe piaciuto fare intervistare ai bambini le persone che frequentano il giardino, con domande indirizzate a capire cosa facessero in quel posto, perché ci erano andati, con chi. L’archeologia del presente ha questo indubbio vantaggio, puoi parlare con chi potenzialmente è il produttore del tuo reperto, puoi fargli le domande che l'analisi del reperto ti suggerisce, poi osservarlo mentre produce il reperto.
Purtroppo era troppo tardi, la scuola stava finendo e il prossimo anno queste ragazze e ragazzi sarebbero andati alle medie. Di una cosa però siamo abbastanza certi: ogni volta che entreranno in quel giardino non penseranno soltanto ai ricordi dei giochi e delle ricreazioni del periodo covid, ma avranno anche un occhio particolarmente attento ai fumatori di sigarette, ai bevitori di bibite, ai bambini che giocano con i palloncini.
E la speranza degli educatori è che siano capaci di proiettare questo sguardo indagatore in ogni ambiente che si troveranno a frequentare, cioè che abbiano iniziato ad acquisire un habitus socio-storico-ecologico verso il mondo.