ELOGIO DEL BANCHETTO... IN ATTESA DEL REFERENDUM
di Renata Puleo
Se ti devo dire…
«Grazie per le informazioni, ma non firmo perché sono di Bolzano e noi siamo ricchi di nostro, autonomia o no»
«Cara Signora, il problema è che stiamo per essere colonizzati dagli islamici, lei fra non molto porterà il velo»
«Che bravi, come vi impegnate. Ma sarà solo Dio a decidere questa partita. Ah, siamo al tavolino dei Testimoni di Geova, poco più in là del mercato, passi a prendere la Torre di Guardia»
«Siamo moldavi, in Italia da anni e non votiamo, né qui né a casa nostra. Casa distrutta dalla caduta dell’URSS»
«Sono ucraina, solo ora, stando in Italia, ho capito cos’è la ferocia del capitalismo di cui ci parlavano a scuola, quando c’era l’URSS»
«La terra va verso la sua scomparsa: a chi può importare questo tema che vi sta così a cuore?»
Faceva un gran caldo
Questi alcuni dei discorsi che ho ascoltato ai banchetti installati presso supermercati, grandi magazzini, piazze, per la raccolta delle firme in favore del referendum contro la legge 86/2024, la Calderoli & soci della lega (da Bossi in avanti, con tutte le metamorfosi nel frattempo intervenute). L’esperienza che ho fatto distribuendo volantini, spiegando le diverse posizioni (ahi, che complicato!!!), con una temperatura che spesso sfiorava i 40°, è stata straordinariamente formativa. Infatti, malgrado la mia militanza politica assai lunga, erano anni che, purtroppo, non mi capitava di fare “agorà”, piazza pubblica, di stare in strada – non nella forma della manifestazione classica - ma di sostare ore per parlare con tante persone, le più diverse. Come si vede dai commenti – e altri ne potrei citare, informati, consapevoli, scortesi, gentili, minacciosi, solidali, idioti, attenti - avevo l'impressione che lo sguardo da sociologo non bastasse a catturare quello sciame di sudate opinioni. Si poteva capire un po’ meglio come pensano gli italiani e non, come è cambiata la mentalità negli ultimi decenni, come si reperiscono le informazioni politiche, quanto grande è il danno inferto dalla televisione e dai giornali proprietà dei grandi potentati economici e dai social. E quanto si è ormai disabituati a discutere di politica senza strilli e grida, con pacatezza di ragionamento. Quello che si chiama conflitto, conflitto generativo di dubbi e nuove idee.
Noi e gli altri...
...il popolo è bue, ma non solo. Il popolo è anche semplicemente gente, è quello che noi – persone comuni - siamo. Le donne e gli uomini che ci governano dai “troni” dell’Europa e dalle obbedienti (ai primi) poltrone del nostro Governo, mi sono sembrate, quest’estate, parlando con la gente, “altra umanità”. Lontana, chiusa nei mondi riservati del potere, ricca, con i figli “sistemati”, le vacanze nei luoghi esclusivi, le feste sfarzose necessarie, anzi doverose, come rivendica la premier finnica Sanna Marin parlando delle sue feste da sballo.
Da questo humus di ricchezza esibita, di arroganza rivendicata come dichiarazione di verità inattaccabile, di egoismo proprietario, è nata la Legge sull’Autonomia Differenziata. Ognuno per sé e chi non ce la fa crepi, pure con il senso di colpa per la propria debolezza e miseria. E se è nato a Sud, tanto peggio per lui. Chi è l’alieno?
Padania e non solo
Potrei qui, non lo farò, aprire un “pippone”, come si dice a Roma, sui lunghi anni trascorsi dal Regionalismo solidale voluto dalla Costituzione, all’approvazione del Titolo V che l’ha violentata nei suoi stessi principi, grazie alle ambiguità del Pd e la distratta quasi opposizione (?) del Movimento 5 stelle, fin alle nuove sentenze e recenti dispositivi interpretativi della Corte costituzionale e della Cassazione. E va ricordato che, malgrado si sia raccolto il triplo delle firme necessarie per formulare la richiesta referendaria, la strada è lunga, accidentata, con un leghista appostato a ogni angolo del già ridotto spazio democratico. Si dovrà tornare tra la gente, con le parole giuste, le parole che “sono semi, lievito, virus, veleno”, sperando che non passino come vento, ma radichino e prolifichino, Soprattutto fra i più giovani, i diciottenni che, se andranno a votare, forse saranno più sprovveduti dei loro vecchi, così sopraffatti come sono dalle migliaia di parole del web. Come ho accennato più su, la questione legislativa, giuridica, è complicata. Spesso confusa nel gergo dei giuristi, in quello volutamente ambivalente dei sostenitori, con distinguo e senza distinguo. E come se non bastasse i tavoli unitari voluti dal Comitato Nazionale si sono già divisi. La Cgil si accredita il successo della raccolta (e francamente, ci vuole una bella faccia tosta), Sinistra Italiana/AVS pure, esponenti di Potere al Popolo e altre organizzazioni che stavano nel raggruppamento e che ho incontrato ai banchetti, attaccano le ambivalenze del “comitatone” e del “sindacatone”. Insomma, siamo alle solite. Chi ha sudato per raccogliere le firme si sente un po' minchione.
Dialetti a scuola?
I Governatori (ex “presidenti” …) che vogliono differenziarsi, chiedono tutte le 23 materie indicate dall’art 117 della Costituzione, in modo esclusivo (fuori lo Stato centrale dalle scatole!). I loro discorsi non sono sciacquati in Arno, aspirano a una ventiquattresima materia, i dialetti come lingue ufficiali. Verranno insegnati nelle scuole regionali, anche se imbastarditi da anni di disuso e dalla pletora di prestiti da un altrettanto incerto inglese. I docenti meridionali si liberino dal loro localismo: potranno migrare al Nord, o permanervi se, come precari, già ci stanno, guadagneranno di più, e avranno un lavoro più snello, di controllori di laboratori digitali e compilatori di carte e formati vari. Riproduttori sociali di giovani menti obbedienti (poche parole per poco pensiero, o l’inverso). Del resto al Sud gli insegnanti non servono. L’economia contadina e quella manifatturiera hanno l’acqua alla gola, la mafia fa un ottimo lavoro di supporto economico alle comunità locali. La sua capacità imprenditoriale è stata saggiata anche in Veneto e a Milano. Dunque, le gabbie salariali che sembravano un vecchio ricordo, rieccole: versione attualizzata di stipendio differenziato. Quel che resta sempre nuova è la parola “salario”, compenso per forza-lavoro. E del resto, alle gabbie ci si deve abituare, già ci sono per migranti, contestatori, giornalisti irrequieti.
A chi la fama?
Il significato originario della parola infamia è “senza fama, senza onore”, un senso doppio, si sa. Se volessimo anche noi - oggi - scrivere una storia dell’infamia, dovremmo parlare di coloro che fanno parte del popolo dei senza nome e senza gloria, coloro che pagano a testa bassa, sopportano, tacciono, oppure dell’infame più classico, il profittatore, l’egoista, l’indegno di ricoprire una carica governativa? La vicenda dei banchetti mi porta a ragionarci su, se serve ancora, chissà. In fondo, nulla di avveniristico, è la realtà che avanza.