(CI...) HANNO RUBATO UN TRAM
di Enrico Roversi
Hanno rubato un tram è un film del 1954 diretto e interpretato da Aldo Fabrizi nelle vesti di un simpatico e bonario conducente di tram a Bologna. Il film narra le sue disavventure causate dall’ avversione esistente fra lui e il caposervizio. L’antipatia del caposervizio si muta presto in una vera e propria persecuzione che crea nel povero tranviere uno stato d’animo tale da farlo incappare in vari incidenti per i quali viene prima punito, poi retrocesso di grado, infine sospeso temporaneamente dal servizio. Caduto in uno stato di prostrazione e frustrazione il buon Fabrizi una notte ruba un tram dal deposito e conduce in giro gratis un gruppo di ubriachi, vagabondi e prostitute… (il finale non ve lo racconto nel caso voleste vederlo). Ma è Bologna la vera protagonista di questo film, una città allora quasi inedita per il cinema e che soprattutto oggi affascina e stupisce grazie alla fotografia di Mario Bava. Essa ci restituisce prospettive e architetture delle vie del centro e della prima periferia, scorci notturni di grande suggestione facendo della città molto di più di una semplice cornice. Lo spettatore che conosce la città scoprirà una topografia un po’ fantasiosa e sconvolta dal montaggio (strade che sfociano in piazze nella realtà altrove). Tutti gli esterni del film furono infatti girati a Bologna nel 1954 insieme ad alcuni interni nelle sale dell’ATM (Azienda Tranviaria Municipale) dove si svolgono varie scene. Il film è ispirato ad un episodio di cronaca, di cui forse era a conoscenza persino Buñuel, dal momento che una storia simile è raccontata nel film messicano da lui diretto La ilusion viaja en tranvia, girato nel 1953 e mai distribuito in Italia.
Ma, visto che questa non è una rivista di critica cinematografica, è di un altro episodio di cui vorrei farvi partecipi. Procedo con ordine e da lontano. Ho iniziato la mia vicenda di insegnante nell’ormai lontano anno scolastico 1995/96 al tempo in cui non erano ancora nati gli Istituti Comprensivi, esistevano le Direzioni Didattiche e sul proscenio non recitavano ancora i Dirigenti Scolastici ma si aveva a che fare con i Direttori Didattici. Un tempo in cui per le uscite a piedi sul territorio comunale bastava raccogliere ad inizio anno le firme di liberatoria da parte dei genitori e in qualsiasi momento potevi uscire con la classe senza obbligatoriamente dover dare preavvisi a genitori, direttori e responsabili di plesso (che tra l’altro non esistevano e che, non essendo normati, oggi esistono pur senza esistere) o far rientrare questo tipo di uscite in qualche tipo di calendarizzazione o piano annuale rigido. Sostanzialmente fiducia tra scuola e genitori e una flessibilità che veniva in aiuto alle necessità didattiche e ai bisogni dei bambini e delle bambine. Prendo dal cassetto della memoria il primo ricordo che affiora. Ero in servizio presso una scuola elementare della provincia di Bologna e tra le materie assegnatemi c’erano anche storia e geografia. Mi recai all’archivio comunale e chiesi se erano conservate in archivio delle vecchie foto con scorci del paese e se era possibile averne delle copie. Mi indirizzarono alla biblioteca comunale dove era conservata una raccolta. C’erano molte foto degli anni trenta e dei primi anni quaranta del secolo scorso che inquadravano vie, piazze, negozi e luoghi di culto del paese. Feci richiesta di avere alcune copie ingrandite e grazie alla disponibilità della bibliotecaria nel giro di poche settimane potei andare a ritirarle e, appese ad un muro dell’aula, iniziò il lavoro con la classe. Riconoscimento dei luoghi e degli edifici, descrizione dei cambiamenti e delle modifiche avvenute nel tempo, ricerca di informazioni storiche, interviste a nonni e parenti e tante altre cose che la memoria ora oblia (sarebbe sempre bene per un insegnante tenere documentazione dei lavori svolti ma a vent’anni si è stupidi davvero come cantava Guccini). Mentre stiamo confrontandoci sui cambiamenti della tal piazza e della tal via una bambina propone di uscire con le foto ed andare sui luoghi per poterne parlare sul posto. Esulto quasi più io dei bambini e per due giorni la nostra aula sono state le strade e le piazze del paese. Una mattina un bambino racconta che in una delle piazze, durante lavori di restauro, togliendo l’insegna di un negozio da sotto è spuntata una vecchia scritta. Grande curiosità e discussioni. Andiamo a vedere? mi chiedono. Certo! rispondo e in poco tempo siamo fuori dalla scuola sul luogo del “delitto”. Sul pezzo di muro sopra l’ingresso della lavanderia che ha da poco chiuso i battenti e diventerà altro campeggia, seppur provata dal tempo, la scritta pittata a mano “MERCERIA”. Che cos’è una merceria? Ma una volta le insegne dei negozi le scrivevano direttamente sui muri? Di chi era la merceria? Sarà ancora vivo il proprietario? Quando ha chiuso? Subito dopo è arrivata la lavanderia o prima ci sono state altre attività? E via alla ricerca di risposte come detective in erba.
Mi fermo sperando di avervi reso l’idea di cosa si poteva fare. Perché uso il passato? Perché ora quello che ho raccontato non sarebbe più possibile. Adesso occorrono passaggi burocratici che intralciano e impediscono questo modo di fare scuola: occorre preventivare, pianificare, rimanere in attesa di autorizzazione, ecc. ecc.
Dal cassetto dei ricordi quasi al presente. Siamo vicini alla fine dello scorso anno scolastico 2023/2024 e in un momento di scambio e libera discussione in classe un alunno racconta della forte contrarietà del padre ai lavori di messa in opera delle linee tranviarie che stanno già sconvolgendo e sconvolgeranno per i prossimi anni la città. Sposto la discussione e chiedo alla classe se sanno che il tram a Bologna c’era già (1880) e che poi la rete tramviaria è stata progressivamente abbandonata e poi del tutto smantellata (1963). Si accende la curiosità. Cerco di rispondere ad alcune domande sul funzionamento di un tram e sulle differenze tra passato e presente, alla lavagna digitale cerchiamo e commentiamo insieme alcune vecchie foto che troviamo su internet e, visto che la nostra scuola è a poco più di dieci minuti a piedi da un parco molto frequentato in quartiere, racconto che in quel parco c’era il deposito tranviario di Bologna di cui si può vedere ancora l’edificio e alcune rotaie rimaste come testimonianza storica. Entusiasmo e domanda collettiva: andiamo a vedere? E in quel “andiamo a vedere” c’è l’urgenza dell’ADESSO, c’è il CARPE DIEM. Sono costretto a rispondere che no, non possiamo. Proteste e mugugni. Spiego che per poter uscire e andarci a piedi anche se il tragitto è breve occorrerebbe aver inserito l’uscita nel piano annuale approvato dagli organi collegiali e questa uscita non lo è. Si possono inserire altre uscite nel piano annuale ma occorre rispettare burocrazia e trafila delle autorizzazioni. Occorrono parecchi giorni e siamo agli sgoccioli dell’anno scolastico e ci sono anche altri impegni già calendarizzati come l’uscita di fine anno e, insomma, non ci stiamo con i tempi. Delusione. Mi viene in mente il vecchio film con Aldo Fabrizi e prometto di portarlo il giorno dopo e di vedercelo insieme. Delusione attenuata. Il giorno dopo la visione del film porta altre domande, altre curiosità, altri desideri di camminare, vedere, sperimentare sul posto. Quanto sarebbe stato bello dopo la domanda “andiamo a vedere?” averlo potuto fare. O dopo aver visto il film aver fatto ricerche sulle linee della vecchia tramvia per poi scorrazzare per Bologna in cerca di tracce di cambiamenti, a trovare le incongruenze nel montaggio del film, andare incontro alla realtà di oggi per interrogarci davvero su quello che succede e succederà in città. Oggi si fa un gran ciarlare sui cosiddetti “compiti di realtà” ma non prendiamoci in giro! Ma che cazzo di compiti di realtà! La realtà è realtà il resto è gioco di prestigio, mistificazione didattico/pedagogica. La realtà coincide con la libertà di seguire le piste imprevedibili che si vengono a dipanare lungo il cammino che noi insegnanti facciamo con i nostri discenti. L’imprevedibilità è all’interno di un percorso di crescita nella libertà e nel promuovere e a volte seguire e assecondare queste intuizioni e desideri di conoscere, esplorare e scoprire il mondo che ci circonda da parte dei bambini e delle bambine. Ma tutto questo non è prevedibile o pianificabile nei piani annuali o nei vari PTOF o in altre gabbie del genere. Di gabbie si tratta, di pianificazione di stampo aziendalista in una realtà, come quella scolastica, che avrebbe bisogno di grimaldelli per scardinarne le sbarre perché siano liberate le pulsioni vitali degli studenti.
“Quando avevo cinque anni, mia madre mi ripeteva sempre che la felicità è la chiave della vita. Quando andai a scuola mi domandarono come volessi essere da grande. Io scrissi: felice. Mi dissero che non avevo capito il compito, e io dissi loro che non avevano capito la vita.” (John Lennon) La scuola italiana per come è stata deformata nel corso del tempo è arrivata a non capire più la vita.