LA PICCOLA VEDETTA LOMBARDA: perché dovremmo leggerla nelle seconde classi della scuola primaria?
di Gianluca Gabrielli
Letteratura per l’infanzia
La letteratura per l'infanzia ha una lunga storia e negli ultimi 150 anni possiamo dire che non sono stati pochi i testi di alta qualità prodotti, sia a livello internazionale, sia da scrittrici e scrittori in lingua italiana. Esistono i classici di questa letteratura ma esistono anche ogni anno migliaia di nuovi racconti o romanzi o libri illustrati che vengono prodotti in stretta connessione con i nuovi contesti di vita, i cambiamenti della società, la mutazione dei linguaggi, le sempre nuove coordinate esplicite e implicite di ciò che viene ritenuto adatto, utile, stimolante per le sempre nuove giovani generazioni.
Questa è un po' la ragione per cui le antologie e i libri di lettura oggi sono diversi dalle antologie del 1880 o del 1950. Mi rendo conto di stare scrivendo cose banali, scontate non soltanto per gli esperti di Storia della letteratura infantile, ma per gli stessi insegnanti o genitori che nello scegliere letture per i propri bambini si guardano intorno ed esplorano gli scaffali delle biblioteche e delle librerie.
Eppure la premessa è necessaria perché nelle Nuove Indicazioni nazionali, rese pubbliche dal Ministero in forma di bozza a marzo scorso, sono espressamente citati e scelti esempi di lettura infantile dall'immenso patrimonio disponibile e indicati come esemplificativi della nuova pedagogia nazionale. In particolare – e su di esso vorrei porre l’attenzione - viene indicato espressamente un racconto incluso nel libro Cuore (1886) di Edmondo De Amicis, intitolato La piccola vedetta lombarda.
La piccola vedetta lombarda
Per chi non ricordasse la storia, ecco un breve riassunto. Un mattino un ragazzo orfano si trova nello
spazio conteso dagli eserciti piemontese e austriaco, durante le fasi precedenti uno scontro risorgimentale. Avvicinato da un ufficiale italiano, il ragazzo si offre di fare da vedetta salendo su
un frassino e indicando la posizione delle truppe nemiche, specificando che offre il suo servizio volentieri alla parte lombarda con cui si sente solidale. Mentre segnala i primi avvistamenti
cominciano a fioccare le pallottole; il ragazzo dovrebbe scendere ma si ostina a fornire tutte le indicazioni che gli erano state richieste e prima di concludere il suo compito viene colpito al
polmone. Caduto a terra muore rapidamente e l’ufficiale copre il suo corpo con una bandiera italiana. Al tramonto i militari avviati alla battaglia passano a fianco del corpo ancora riverso e gli
rendono omaggio con fiori e medaglie.
Nel libro Cuore questo e altri sono i racconti mensili che il personaggio del maestro Perboni legge alla classe durante l'anno e quindi costituiscono l'ossatura patriottica sia del curriculum
scolastico della classe protagonista della storia che del volume.
Insieme a La piccola vedetta lombarda sono incluse come narrazioni mensili Il tamburino sardo, Il piccolo patriotta Padovano, Il piccolo scrivano Fiorentino e altri brani divenuti famosi.
Come scrivevo, Cuore è un classico della letteratura per l’infanzia, ma decisamente datato. Da alcune decine di anni è scomparso dalle raccolte di letture per la scuola, mentre rimane citato nelle storie delle letteratura, ma indirizzato a studenti di altre età e funzionale ad una lettura contestualizzata nel periodo storico in cui fu prodotta. Stupisce quindi che De Amicis e questo brano riemergano nel 2025 come esemplificativi delle letture da proporre nelle nuove classi seconde della scuola primaria. Come mai questa netta inversione di marcia e come mai proprio questo brano del libro Cuore?
“Che la scuola torni a preoccuparsi della formazione di un sincero amor di patria”[1]
Partiamo dalle motivazioni più esplicite e argomentate. Loredana Perla, ordinaria di Didattica e pedagogia speciale nonché presidente della Commissione che si occupa delle Nuove Indicazioni nazionali, ama particolarmente il libro Cuore e lo ritiene fondamentale per trasmettere l’afflato di una nuova pedagogia patriottica alle giovani generazioni. Lo ha argomentato estesamente nella parte da lei curata del breve libro Insegnare l'Italia (2023), scritto insieme a Galli della Loggia, volume che ha preannunciato la nascita della Commissione per le Nuove indicazioni. Perla e Galli della Loggia sostengono che la nuova scuola debba puntare a formare nelle giovani generazioni “un sincero amor di patria” e debba farlo “adottando un approccio didattico di tipo multidisciplinare fondato proprio sulla categoria della identità” nazionale.[2] In particolare ciò si renderebbe necessario “tenendo presente un dato specifico del nostro tempo, ovverosia la condizione di terra d’immigrazione a cui l’Italia si sta avviando”. [3] Galli della Loggia non si nasconde un problema connesso a questo approccio, se sia cioè “lecita l’acculturazione forzata all’italianità che in qualche modo verrebbe così imposta”, ma il dubbio viene presto accantonato ricordando come gli stessi immigrati italiani negli Stati Uniti furono oggetto di simili forzature pedagogico nazionaliste.
Il ragionamento che viene portato avanti dagli autori poggia i propri presupposti su un’idea di civiltà come ente materiale univoco, indissolubilmente legata al territorio e al passato che eredita, destinata ad entrare in conflitto più che in relazione con le altre idee di civiltà circolanti. Questa filosofia mostra i caratteri unilaterali e rigidi del culturalismo, considera la circolazione culturale come lotta tra identità escludentesi ed arriva ad ipotizzare l’“identità italiana” come un’entità concreta e coerente, che deve rendersi impermeabile e difendersi dai molteplici influssi di altre culture. L’ideale di purezza che aleggia in questo atteggiamento verso la cultura nazionale ricorda molto periodi storici del passato in cui l’italianità veniva considerata da difendere perché sempre sotto minaccia di snaturamento o di conquista, oppure da esportare in competizione con le altre nazioni.
Narrazione e personalizzazione
Ma torniamo alla proposta di Loredana Perla.
Per la studiosa promuovere l’amor di patria significa attingere al un “canone cultural-identitario italiano” da trasmettere attraverso il metodo della narrazione, del racconto che permetta “un’adeguata personalizzazione del passato” [4]. In particolare occorre scegliere “vicende esemplari [che siano] riassuntive di un intero universo di significati”[5] e che siano capaci di trasmettere la “consapevolezza delle proprie radici”, “da dove veniamo”, “cosa ci ha portato ad essere Italia” [6].
Cuore assommerebbe cioè tutte queste caratteristiche, proponendo in aggiunta un rapporto tra scuola e famiglia nel quale quest’ultima costituisce il “primo cardine dell’edificio sociale e della prospettiva educativa”[7]. I “i suoi contenuti possono aiutare a riscoprire valori essenziali di cittadinanza (lealtà, generosità, responsabilità) e testimoniarli con buoni esempi agli occhi di [chi] nasce oggi”[8]. Insomma, per Perla Cuore costituisce il vero prototipo per l’educazione degli italiani della nuova epoca, è dotato di una “carica anticonformista” ed è capace di ribaltare “la concezione dell’italiano […] polemico, lagnoso, pusillanime […] nel suo contrario”.
Risorgimento come nucleo per la (ri)nazionalizzazione delle giovani generazioni
Nelle testo delle Nuove Indicazioni non ritroviamo l’enfasi per Cuore argomentata nel volume di Galli della Loggia/Perla, ma emerge una forte sottolineatura del tema “Risorgimento” nella sezione dedicata ai contenuti di storia proposti per la seconda classe della scuola primaria, tra i quali rimane il racconto della Piccola vedetta lombarda insieme ad altri esempi di contenuti narrativi indicati più genericamente:
• La nascita dell’Italia: da molti Stati regionali una sola nazione libera e indipendente.
• Mameli e l’inno nazionale (spiegazione del contenuto), poesie e canti del Risorgimento.
• Racconti del Risorgimento (p. es.: gli incarcerati nello Spielberg, le cinque giornate di Milano, i martiri di Belfiore, “La piccola vedetta lombarda”, Anita Garibaldi, i Mille).[9]
Questa enfasi sul Risorgimento italiano in chiave nazionalista appare decisamente straniante. Che di tutte le dimensioni culturali che contribuiscono a definire l’identità nazionale si colga ed isoli il processo politico-militare-retorico che portò all’unificazione un secolo e mezzo or sono è già di per sé curioso, se non altro perché tale scelta comporta una specie di sostituzione del Risorgimento alla Resistenza, o meglio: l’esclusione della Resistenza come nucleo più recente e sicuramente più popolare della genesi culturale dell’Italia attuale.
Ma è ancora più straniante se si pensa che tali contenuti vengono proposti ad una seconda classe. Da una parte le trattazioni non potrebbero che essere presentate con un tono retorico-leggendario, ma è veramente difficile considerare come innovatrice e sostenibile una pratica didattica simile, che appare piuttosto come frutto di una scelta tutto ideologica, finalizzata a (ri)costruire un mito del Risorgimento cui far aderire le bambine e i bambini di 7 anni.
Questo atteggiamento verso la storia e verso l’idea nazionale non ha trovato – mi pare - molti sostenitori tra pedagogisti e esperti di didattica della storia negli ultimi decenni, poiché costituiva un approccio ampiamente superato dalla realtà. Basti cercare a quando risalgono le pubblicazioni per l’infanzia su di questi temi. Prendiamo i martiri di Belfiore. L’ultima stagione produttiva sul tema risale agli anni Cinquanta del secolo scorso, anni in cui i programmi di storia si arrestavano alla Prima guerra mondiale per il tabù che era calato sul fascismo (e sulla Resistenza) e nei quali quindi i temi risorgimentali rientravano con forza tra gli argomenti storico identitari prescelti dal Ministero anche se già allora in un certo senso fuori tempo massimo. Belfiore: il romanzo dei Martiri di Olga Visentini è del 1952 ma viene ripubblicato più volte (1954, 1960, 1964, ...fino all’ultima del 1971), poi I Martiri di Belfiore: per i ragazzi d'Italia nel centenario del sacrificio di Gian Cesare Pico (già estensore del libro unico per la scuola elementare sull'impero coloniale nel 1937) del 1955, I martiri di Belfiore di Enrico Terenziani del 1952, I Martiri di Belfiore nel centenario dell'unità d'Italia, 1861-1961 di Cesare Meneghini nel 1961.
Ma anche in questo periodo il tema del Risorgimento era previsto per i bambini di quinta classe; per ritrovarlo prescritto almeno in terza (non in seconda come nelle Nuove indicazioni) dobbiamo andare ancora più indietro nel tempo, ai Programmi del 1923 e del 1934: “Racconti, bene ordinati, di storia italiana, dal 1848 al 1918” (1923), e “Gli eroi della storia d'Italia, dal 1848 ai giorni nostri” (1934).
Torniamo alla Piccola vedetta
Riassumendo: Perla e Galli della Loggia ritengono utile riesumare il Risorgimento per trarne contenuti narrativi tra lo storico e il leggendario finalizzati a nazionalizzare la gioventù italiana (con e senza cittadinanza) di oggi. Il progetto sembra chiaro, anche se a conti fatti risultò già di scarsa efficacia quando venne applicato l’ultima volta, negli anni Cinquanta; vista l’acqua che da allora è passata sotto i ponti pare difficile che possa avere un esito migliore. L’unica cosa positiva è che le scuole che non hanno rottamato le bibliotechine nate nel secondo dopoguerra potranno trovare subito la narrativa di riferimento (mentre le altre scuole dovranno attendere le future proposte delle case editrici che fin d’ora stanno cercando di inventarsi una buona dose di titoli retorico-risorgimentali per “rinnovare” i loro cataloghi.
Ma torniamo alla Piccola vedetta. Perché proprio questo specifico racconto del De Amicis rimane citato specificamente nelle Nuove indicazioni?
Intanto il protagonista è senza genitori, “trovatello” scrive De Amicis, senza padre, senza patria. Probabilmente chi lo ha scelto ritiene che anche le giovani generazioni di migranti, o di bambine e bambini di seconda generazione con background migratorio siano privi di un riferimento culturale forte, siano un po' orfani culturalmente e identitariamente, senza riferimento nazionale, apolidi.
Come nel racconto questo giovane senza genitori viene adottato dalla patria in armi, dal plotone di
soldati, acquisendo una identità patriottica nel momento in cui opera per loro, allo stesso modo le nuove generazioni dovrebbero intravedere una strada per acquisire un'identità solida,
culturalmente elevata, “Occidentale”, appoggiandosi alla cultura italiana, facendosi adottare dalla tradizione letteraria risorgimentale.
Ma il testo è rivolto evidentemente anche ai bambini con background culturale nazionale, bambini i cui genitori o nonni hanno già letto le vicende di Cuore e hanno studiato il Risorgimento
come inveramento patriottico più o meno retorico della propria Nazione. Questa tradizione retorica però negli ultimi 50 anni è stata fortemente indebolita da una serie di riflessioni – sia
storiografiche che pedagogiche - che hanno messo in discussione i canoni patriottici ottocenteschi e l'uso ideologico che ne è stato fatto nella scuola nazionale per oltre un secolo.
Probabilmente proponendo questo racconto gli esponenti della Commissione intendono invece risalire oltre queste critiche e proporre le letture deamicisiane non tanto come elementi di storia della nazione, da contestualizzare e quindi analizzare criticamente nei suoi aspetti letterari e ideologici, ma proprio utilizzandoli come una piccola macchina del tempo, un riportare indietro le lancette dell'orologio scolastico alle scuole degli anni dieci o cinquanta del Novecento, ove nei libri di lettura accanto alla piccola vedetta lombarda si poteva leggere il racconto dell'eroe del Carso, l'apologo sulla nascita della bandiera tricolore, l'elenco delle strade costruite dai colonizzatori italiani in Etiopia e la celebrazione della potenza della Roma antica.
Non riesco a trovare altra motivazione per il tentativo di inserire questo breve brano nelle Nuove indicazioni. Eppure fa francamente sorridere l'idea che si possa ritenere efficace, a distanza di tanto tempo, la riproduzione dei medesimi contenuti, prescindendo completamente dal contesto in cui le giovani e i giovani vivono oggi.
L’identità militare della nazione?
O forse un ulteriore ragione la trovo, ma quasi tremo nell'argomentarla. In realtà se il brano di De
Amicis era comprensibile in un contesto storico preciso, allo stesso modo le Nuove indicazioni sono comprensibili nel nuovo contesto storico sociale italiano e internazionale.
In questi ultimi mesi si fa un gran parlare di aumento delle spese militari e di identità europea costruita sul potenziale bellico. L'importanza dell’Onu nelle relazioni internazionali è
diminuita e ha lasciato spazio ai meri rapporti di forza tra gli arsenali bellici e tra le capacità produttive delle Nazioni. Ursula von dee Leyen ci invita a preparare un kit di 72 ore per
emergenze anche militari mentre cantanti e intellettuali che si auto-definiscono di sinistra rampognano la cultura italiana come imbelle.
Avere ben presente questo contesto rende la rilettura della Piccola vedetta lombarda davvero inquietante. Un giovane senza patria e senza genitori, che viene usato dall'esercito senza alcun riguardo per la sua giovane vita; un ragazzo la cui esistenza acquista un senso e un'identità proprio attraverso la morte per la Patria, attraverso il dono generoso di sé. E poi i passaggi veramente struggenti quando, in cima all'albero, ognuno di noi inviterebbe il giovane, già sfiorato da due pallottole, a scendere, mentre l'ufficiale, emblema della nazione in formazione, lo invita sì a scendere ma continuando a chiedergli informazioni, lasciando così che fornisca le ultime indicazioni e che poi cada colpito. Il passaggio è da leggere per intero
- Scendi, ragazzo! - gridò l’ufficiale. - T’han visto. Non voglio altro. Vien giù.
- Io non ho paura, - rispose il ragazzo.
- Scendi... - ripeté l’ufficiale, - che altro vedi, a sinistra?
- A sinistra?
- Sì, a sinistra.
Il ragazzo sporse il capo a sinistra [...]
Tra il Settecento e l’Ottocento esisteva un’importante tradizione di arruolamento dei giovani orfani.[10] In termini diversi anche il Novecento costituisce una nuova potente stagione di “arruolamento” e mobilitazione dei giovani e delle giovani, di cui l’Italia costituisce una delle esperienze più estreme.[11] Chissà se gli estensori delle Nuove indicazioni pensano veramente che oggi si possa leggere la Piccola vedetta accontentandosi della commozione predisposta da Edmondo dei Languori:
Povero ragazzo!- ripeté tristemente l'ufficiale.- Povero e bravo ragazzo!
Poi s'avvicinò alla casa, levò dalla finestra la bandiera tricolore, e la distese come un drappo funebre sul piccolo morto, lasciandogli il viso scoperto.
Il sergente raccolse a fianco del morto le scarpe, il berretto, il bastoncino e il coltello. Stettero ancora un momento silenziosi; poi l'ufficiale si rivolse al sergente e gli disse: - Lo manderemo a pigliare dall'ambulanza; è morto da soldato: lo seppelliranno i soldati.
[1] Ernesto Galli Della Loggia, Loredana Perla, Insegnare l’Italia, Brescia, Morcelliana, 2023, p. 76.
[2] Galli Della Loggia, ivi, p. 41.
[3] Galli Della Loggia, ivi, pp. 41-42.
[4] Perla, ivi, p. 78.
[5] Perla, ivi, p. 79.
[6] Perla, ivi, p. 85.
[7] Perla, ivi, p. 95.
[8] Perla, ivi, p. 98.
[9] Nuove indicazioni nazionali, p. 72.
[10] Simonetta Polenghi, Fanciulli soldati. La militarizzazione dell'infanzia abbandonata nell'Europa moderna, Carocci, 2003
[11] Gianluca Gabrielli, Educati alla guerra, Ombre corte, 2016.