NOSTRA PATRIA E' IL MONDO INTERO

Nuove Indicazioni nazionali e Intercultura

di Silvia Casali

 

 

Cosa succede se proviamo a leggere le Indicazioni Nazionali dal punto di vista dell’intercultura e dell’insegnamento dell’italiano come lingua seconda?

Una premessa è d’obbligo: le Indicazioni sono un testo male assemblato, approssimativo nella forma (anche nella lingua utilizzata) e spesso contraddittorio nei contenuti. Ciononostante emergono con forza le intenzioni ideologiche, identitarie e prescrittive che si sono volute imprimere al testo, e che ne percorrono le pagine soprattutto di alcune sezioni ritenute evidentemente strategiche.

Prosegue infatti, nelle nuove Indicazioni Nazionali, quella tensione  che già era presente anche nelle recenti linee guida per l’educazione civica, verso un’educazione patriottica e un indottrinamento all’identità italiana, europea e occidentale che oscura e nega la dimensione multiculturale della società odierna.

 

Per poter misurare in modo più netto questa sterzata può essere utile riproporre, giusto a titolo d’esempio, alcuni passaggi tratti dalle Indicazioni Nazionali del 2012, quando fin dalla prima pagina si scriveva:

“Una molteplicità di culture e di lingue sono entrate nella scuola. L’intercultura è già oggi il modello che permette a tutti i bambini e ragazzi il riconoscimento reciproco e dell’identità di ciascuno. A centocinquanta anni dall’Unità, l’Italiano è diventata la lingua comune di chi nasce e cresce in Italia al di là della cittadinanza italiana o straniera. La scuola raccoglie con successo una sfida universale, di apertura verso il mondo, di pratica dell’uguaglianza nel riconoscimento delle differenze.”

E ancora, in una sezione delle premesse intitolata “per una nuova cittadinanza”

“L’obiettivo è quello di valorizzare l’unicità e la singolarità dell’identità culturale di ogni studente. La presenza di bambini e adolescenti con radici culturali diverse è un fenomeno ormai strutturale e non può più essere considerato episodico: deve trasformarsi in un’opportunità per tutti. [...] Non basta convivere nella società, ma questa stessa società bisogna crearla continuamente insieme. Il sistema educativo deve formare cittadini in grado di partecipare consapevolmente alla costruzione di collettività più ampie e composite, siano esse quella nazionale, quella europea, quella mondiale”

 

Bene, riavvolgiamo il nastro al 2025. Uno dei filoni, nel testo attuale, è quello dell’esaltazione dell’Occidente, patria della storia e della libertà; la parola “occidente” o “occidentale” compare 26 volte, spesso scritta con la O maiuscola. Poco importa se questa storia e la cosiddetta libertà hanno significato secoli di guerre alla ricerca della supremazia, discriminazioni religiose e etniche, colonialismo, imperialismo. All’interno della celebrazione di questa parte di mondo che si estende al massimo verso gli Stati Uniti, ampio spazio è riservato alla patria e alla cultura italiana, tutto rigorosamente al singolare.

Di fronte al delirio di questo noi, di italiani e di occidentali, si costruisce anche l’immagine degli “altri”, i “coetanei di culture diverse”  inevitabilmente inferiori rispetto ai successi conquistati dall’Occidente.

 

Cito dalle premesse:

La “ libertà è il valore caratteristico più importante dell’Occidente e della sua civiltà sin dalla sua nascita, avvenuta fra Atene, Roma e Gerusalemme. Ed è il cuore pulsante della nostra democrazia. Capire che cosa è la libertà e soprattutto cosa significhi essere liberi (anche attraverso il confronto con coloro che liberi non sono, in moltissime parti del mondo), agevola la comprensione di cosa sia una democrazia occidentale e le connessioni esistenti fra quest’ultima e il sistema dei diritti e dei doveri di cittadinanza conquistati dall’Europa, anche al prezzo di guerre terribili, nella prima metà del Novecento”.

 

Le nuove indicazioni nazionali sono un testo fortemente etnocentrico, che si preoccupa delle differenze sociali, culturali e di genere solo al fine di un’assimilazione: chi è “straniero”, definizione comunque problematica su cui a breve torneremo, è mancante. Prima di tutto della lingua, ma soprattutto della tradizione e della cultura (sempre una) italiana. Una mancanza che le Indicazioni si prefiggono di colmare attraverso la trasmissione di regole, grammaticali e non, e di contenuti patriottici, storici e della tradizione letteraria. Non serve porsi domande o sviluppare un metodo critico, quanto assorbire un punto di vista, una narrazione. Si dice:

 

“Anziché mirare all’obiettivo, del tutto irrealistico, di formare ragazzi (o perfino bambini!) capaci di leggere e interpretare le fonti, per poi valutarle criticamente magari alla luce delle diverse interpretazioni storiografiche, è consigliabile percorrere una via diversa. E cioè un insegnamento/apprendimento della storia che metta al centro la sua dimensione narrativa in quanto racconto delle vicende umane nel tempo. [...] Non è pertanto necessario che i discenti imparino tutto ciò che di più o meno notevole è avvenuto in ciascuna epoca, bensì che apprendano quanto è stato davvero determinante, in primo luogo nella vicenda storica italiana.”

 

Per quanto riguarda l’insegnamento dell’italiano si specifica:

“Una parte cospicua delle letture degli studenti dovrà avere per oggetto opere della tradizione culturale italiana: familiarizzarsi con questa tradizione li metterà nella condizione di conoscere più a fondo il Paese nel quale vivono e la lingua nella quale si esprimono.”

E ancora, sulla lingua:

“Gli alunni di origine straniera devono comunque acquisire la conoscenza della lingua italiana: è assolutamente evidente che l’integrazione passa in primo luogo dal poter parlare italiano, e dal piacere di farlo.”

 

Il tema dell’apprendimento linguistico (di questa lingua che dovrebbe evidentemente dare piacere anche solo nel pronunciarla - forse perché notoriamente musicale come nei migliori stereotipi) ritorna più volte all’interno delle Indicazioni.

 

Soffermiamoci un attimo: come viene realizzato adesso l’insegnamento di italiano come lingua seconda?

E’ facile rilevare come manchi un piano ministeriale che garantisca delle condizioni in tutto il territorio nazionale. Il più è lasciato alle situazioni locali e alle autonomie scolastiche, con fondi non strutturali spesso soggetti a riduzioni o sporadici investimenti come quelli del PNRR. Il panorama è molto variabile e spesso precario: se ne occupano insegnanti interni all’istituto, spesso titolati per altro, come docenti di sostegno, o talvolta si utilizzano ore aggiuntive di docenti di altre materie. Oppure insegnanti esterni, magari provenienti da cooperative presenti sul territorio. La dinamica è spesso quella emergenziale, che cerca di mettere delle toppe di fronte alle difficoltà, come se fosse un po’ sempre la prima volta. Le risorse che la scuola offre sono frammentarie, sporadiche e insufficienti.

 

Le Indicazioni nazionali non offrono prospettive migliori: in un passaggio si propongono, ad esempio, come risposta agli studenti con BES anche derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana le traduzioni automatiche dell’intelligenza artificiale.

 

Il compito dell’educazione linguistica è presentato comunque come responsabilità dell’intero consiglio di classe, e in particolare del docente di lettere. Come se insegnare lingua italiana ad alunni di madrelingua straniera fosse la stessa cosa che insegnare lettere ad alunni madrelingua italiana o come se bastasse saper parlare italiano per poterlo insegnare.

 

Non è la prima volta che il ministro Valditara sembra dimenticare che gli insegnanti specializzati già ci sono. E’ dal 2017 che esiste una classe di concorso specifica, la  “A023” rivolta all’insegnamento dell’italiano come lingua seconda. Si tratta di insegnanti che oltre alla laurea, hanno dei titoli specifici conseguiti presso alcune università italiane specializzate nella didattica delle lingue. Questa classe di concorso è stata attivata quasi solo per i CPIA (Centri Provinciali di istruzione degli adulti) e manca una sua presenza diffusa, che incontri le esigenze reali. Il decreto legge 71, del 31 maggio 2024 permette di richiederne la presenza nelle scuole in cui ci sono classi con il 20% di alunni che non raggiungono il livello linguistico A2. Si tratte verosimilmente di poche situazioni, dato che in media gli alunni con cittadinanza non italiana in Italia sono raggiungono l’11% per classe. Il decreto aprirebbe la possibilità di stipulare accordi con i CPIA per quegli studenti che non sapendo la lingua italiana, si iscrivono per la prima volta a scuola. Sembrerebbe emergere quindi un modello per cui la lingua italiana si impara in corsi speciali, senza considerare il fatto che che le lingue, soprattutto da bambini e da preadolescenti, si imparano molto più in fretta stando in mezzo a coetanei che parlano quella lingua e in situazioni sociali che richiedono di usarla. Un modello che per potrebbe farci abituare piano piano all’idea delle classi differenziali per stranieri, o all’idea che per i minori di origine straniera si possa mettere – formalmente o informalmente – un prerequisito di lingua per l’accesso all’istruzione. (Per approfondire la situazione della classe di conoscorso A023 rimando alle riflessioni dei docenti specializzati pubblicati qui https://italianol2intuttelescuole.wordpress.com/)

 

Anche la definizione di straniero che le Indicazioni nazionali usano con grande leggerezza è problematico. Molti dei nostri alunni sono “stranieri” solo perché hanno i genitori stranieri, ma sono nati in Italia e parlano già italiano, a volte meglio di quanto conoscano la lingua dei genitori. Nelle nostre classi concetti come quelli di identità e cultura complessi, mescolati, multiformi.  L’unica estraneità reale è data dal non riconoscimento dell’essere cittadini e cittadine. In questo senso è importante ricordare anche quanto sia significativo oggi, a pochi giorni dal referendum, impegnarsi per accelerare i percorsi di acquisizione del diritto di cittadinanza.

 

Che fare allora? Il testo delle Indicazioni è tale da non poter essere emendato. Bisogna piuttosto rifiutare senza mezzi termini ogni forzatura di costruzione di un’identità in senso nazionalistico e conseguente assimilazione e oscuramento delle identità altre. Bisogna continuare a mettere in discussione il principio stesso di identità italiana, perché ognuno di noi è portatore di molteplici identità e molteplici culture.

Al contrario, è necessario continuare a mettere in campo e a valorizzare tutte le pratiche, gli scambi, le attività disciplinari e trasversali che, in ottica decoloniale, facciano emergere le realtà plurilingue e pluridentitarie di ogni studente.