LIBRI DI TRAVERSO

Miguel Benasayag FUNZIONARE O ESISTERE?

di Silvia Di Fresco

Prof, ma la letteratura a cosa serve? la storia antica a cosa serve? sapere tutte queste cose a cosa serve  che tanto c’è Chat GPT?

Questo a cosa serve, insegnando Lettere in un Istituto Tecnico, mi tormenta. A niente, dico io. Giocare a calcio a cosa serve? Guardare un film o una serie a cosa serve? passare il tempo con la persona che ami a cosa serve? Inizialmente, nei primi anni Duemila, questa risposta sortiva effetto. Non che si appassionassero alla lettura, ma – intuita l’importanza dell’inutilità – riuscivamo anche a goderci qualche testo; ora invece ribattono: giocare a calcio serve a farsi il fisico, vedere qualcosa che ci piace serve a passare il tempo, stare con la persona che ami serve a star bene… Servire, mai come in questo caso la polisemia di tale verbo mi sembra illuminante: servire = essere utili; servire = essere servi. Di cosa? di una società che ci vuole soprattutto finalizzati all’utile, ovvero funzionanti, come ben fa emerge Miguel Benasayag nel suo saggio Funzionare o esistere?.

 

In questo periodo di valutazioni, dove siamo chiamati a dare un valore numerico al percorso d’apprendimento svolto con le nostre classi, questi due concetti - funzionare ed esistere – entrano in conflitto. Di per sé ritengo che la valutazione e l’autovalutazione siano due elementi chiave nella crescita di ogni persona, crescita che non si ferma con la maggiore età ma che continua nel tempo: conoscere i propri limiti nelle varie situazioni che si presentano e lavorare sui propri errori  cercando di stare meglio possibile è ciò che mi auguro poter fare fino a 100 anni e oltre, ma tutto questo è altro rispetto a quello che è il valutare a scuola.

 

Valutare a scuola significa in gran parte attribuire un bollo ai vari livelli di produttività raggiunti dagli studenti, i quali – una volta visto il voto - non si sentono affatto all’interno di un percorso in cui quel numero rappresenta soltanto uno stato della loro preparazione in una data disciplina, anzi. E qui torna il concetto di utilità. Nel momento in cui la nostra esistenza deve assomigliare sempre di più a un curriculum vitae, essa si trasforma via via in «un percorso nel quale si cercherà, in ogni situazione, di evitare i punti X che richiedono una sfida ed espongono al rischio. […] Oggi le nuove pratiche di valutazione permanente, in cui i valutati, attori della propria valutazione, sono al contempo oggetto e soggetto della valutazione, fanno sì che ogni individuo diventi un bilancio di competenze utili nella sua vita, un bilancio che accompagna la macchina nel suo funzionamento […].» [1] Pensate a quante volte ci siamo detti che oramai gli alunni sono interessati solo al voto, che non leggono nessun tipo di nota a margine e bla bla bla. Io ho perso il conto.

 

Eppure, nel leggere Funzionare o esistere?, mi è sorta una domanda: qual è il sistema mondo dentro cui ci troviamo? Sono loro a essere focalizzati soltanto sul numero o siamo noi che, volenti o nolenti, li portiamo a farlo? Nella «[…] società della tanto esaltata ′pedagogia delle competenze′ - un’educazione puramente utilitaristica, senza trasmissione di cultura né attenzione allo sviluppo delle affinità elettive del bambino – educare significa insegnare a modellarsi secondo gli schemi della società della performance.»[2] Gli effetti di questo tipo di società li possiamo vedere, tra l’altro, anche su noi docenti: in quanti ci siamo iscritti a corsi di formazione? in quanti abbiamo preso, magari, due abilitazioni o due lauree? in quanti abbiamo scelto i corsi on line così nel mentre potevamo fare altro? E di questi, quanti ne abbiamo frequentati più per avere punti o per metterli nel curriculum che per piacere?

 

D’altronde – sento dire da più parti – la scuola deve essere nel mondo e se il mondo richiede determinati (s)oggetti con determinati requisiti l’istruzione pubblica deve fare il suo sporco lavoro. Altrimenti, una volta immessi nel mercato del lavoro, come faranno? Se non insegniamo loro a “imparare a imparare” (mantra delle competenze chiave europee)[3] come ne usciranno vivi? Bisogna poi vedere se, seguendo i dettami dell’Europa prima e quelli del MIM (MIM! [4]) dopo, essi possano ancora definirsi vivi, ossia esseri polimorfi e desideranti. Chiedo ancora aiuto a Benasayag, che qui cita Debord, per esprimere meglio il concetto:  «[…] nelle nostre società, le persone non trovano ciò che desiderano, ma devono accontentarsi di desiderare ciò che trovano»[5]. Se dunque il destino sistemico dei ragazzi e delle ragazze ora è questo, non può stupirci che la scuola pubblica, sovrastruttura nazionale dentro l’odierno apparato politico, sia stata trasformata – con l’aiuto delle nuove tecnologie – in uno strumento in grado di formare persone flessibili disposte ad adattarsi alle richieste del lavoro capitalistico e neoliberista.[6] In questo contesto, come possiamo ancora stupirci che la valutazione non sia altro che un bollino di qualità? E, ancora, come possiamo meravigliarci che questo tipo di scuola si sia convertita nell’incubo ricorrente degli e delle adolescenti? Il rapporto Agia 2024 parla chiaro: il 51,4% dei ragazzi soffre in modo ricorrente di stati di ansia o tristezza prolungati; il 49,8% lamenta un eccesso di stanchezza; il 46,5% dichiara di provare nervosismo.[7] Certo la scuola non è l’unica o la principale responsabile, ma nella complessità esistente fa parte di un tutto che non può non interrogarci, specialmente quando siamo depositari della loro sorte scolastica. È a tal proposito, di fronte agli scrutini incombenti di questo periodo, che mi trovo – ogni anno - a fare i conti con moltissimi dubbi. Bocciare serve o è crudele quando di fronte abbiamo chi proviene da contesti difficili? Se Elena a inizio anno non sapeva scrivere neanche tre righe ma adesso riesce, seppur con molti errori, a fare un riassunto, le devo dare la sufficienza o le farebbe meglio studiare un po’ durante l’estate? Però si è molto impegnata e dovrà pure riposarsi... Mario in compenso non ha fatto proprio niente ma è intelligente: è giusto dargli 7 o è meglio ignorare la media matematica e dargli 6? Posto che, per quanto riguarda la valutazione, escludo il 6 politico come soluzione e che, per quanto riguarda la scuola delle competenze, rifiuto il ritorno al piramidale mondo gentiliano, tutto quel che rimane è un enorme punto di domanda a cui tento di rispondere durante l’intero arco dell’anno scolastico.

 

Tornando a Benasayag, se voglio tentare di liberarmi dalla tirannia del funzionamento, non posso agire pensando solo al prodotto finale (sapere raggiunto e sua valutazione), ma devo tentare di immaginare un’altra strada che, pur terminando sempre con un numero, abbia reso il cammino così significativo da rendere il voto solo un’altra tappa e non la meta.

«Un giovane è uno che esplora la possibilità, uno per cui la vita non è pianificata come un viaggio organizzato (con tutte le necessarie assicurazioni), uno che non considera la vita come una linea dritta – la strada più breve, il percorso più comodo e con il minimo spreco di energie. è al contrario uno che sperpera, che rischia e non valuta le sue azioni in base al rapporto costo-benefici.»[8] Ecco, forse è questo che, come docenti, possiamo ancora fare, cercare di far comprendere loro che la vita non è arrivare a A da B, ma una linea mista il cui senso risiede proprio tra i due estremi.  Ciò significa, oggi, essere rivoluzionari nelle nostre classi: riprenderci il tempo per istaurare una relazione significativa fondata sull’asimmetria delle conoscenze, ma non sull’asimmetria del potere; portare in classe, anche attraverso la passione per le materie che insegniamo, non l’ansia di fare, ma il tempo di incuriosire; affiancare alle interrogazioni il momento dell’autovalutazione, così da rendere il voto non un giudizio incontrovertibile, ma una riflessione sul nostro processo di insegnamento-apprendimento. Insomma, per dirla in breve, forse l’unica pedagogia che possiamo opporre a quella delle competenze è quella del desiderio [9] e l’unica docimologia che possa non spegnere quel desiderio è una valutazione dialogata.

 

Vedremo…

«“Viandante, sono le tue impronte

il cammino, e niente più.

Viandante, non c’è cammino,

il cammino si fa andando.”» [10]

(Antonio Machado)

 

 



[1] M. Benasayag, Funzionare o esistere?, Vita e pensiero, MI, 2019, p. 59. Si veda, a questo proposito, Angelique Del Rey, La tirannia della valutazione, Elèuthera, MI, 2018.

[2] Ivi, p. 15

[3] «L’abilità di perseverare nell’apprendimento e di organizzare il proprio apprendimento anche mediante una gestione  efficace del tempo e delle informazioni https://www.invalsiopen.it/apprendere-ad-apprendere-competenza/ Si noti, a proposito di funzionamento, come il lessico usato sia afferibile più a una macchina che a una persona.

[4] Si precisa che Il Ministero dell'Istruzione (MI) è stato trasformato in Ministero dell'Istruzione e del Merito (MIM) nel  2022, con il Governo Meloni. Per una lettura critica si veda https://www.tecnicadellascuola.it/cobas-il-ministero-del-merito-e-leredita-del-governo-draghi

[5] Ivi, p. 71.

[8] M. Benasayag, Ivi, p. 20.

[10] A. Machado in M. Benasayag, Ivi, p. 55.