CONTRAPPUNTI

Ritornare a San Gersolè

Possiamo dire che, almeno qui in Italia, le strutture tradizionali del processo educativo potevano ridursi al triangolo Famiglia, Chiesa, Scuola. La concordia fra i tre organi educativi non è stata mai perfetta ma in complesso a reggerne gli equilibri e le reciproche sopraffazioni valeva il costume sociale, questa norma quanto mai complessa e indefinibile ma quanto mai solida e potente. Il triangolo veniva via via invaso dalle forze turbanti delle innovazioni culturali e delle passioni sovversive, ma il processo che le assimilava e le consegnava alle generazioni nuove era lento e organico e, alla fine dei conti, con Orazio si poteva dire che “Naturam expellas furca tamen usque recurret” (Potrai scacciare la natura con la forca tuttavia sempre tornerà). Poi è accaduto un fatto nuovo e irreversibile: la vita dell’uomo non ha più poggiato sulla natura il cui principio è la ripetizione ma sulla tecnologia il cui principio è l’indefinita trasformazione. E per quanto riguarda il processo educativo il triangolo sopra descritto è stato frantumato dal sopravvenire degli strumenti tecnologici il cui fine, o almeno il cui risultato, è la formazione di un uomo nuovo. Questa trasformazione ha ricevuto negli ultimi vent’anni un’accelerazione velocissima e strabordante tanto da chiedersi se la massima di Orazio sia ancora valida. La sociologia, la psicologia e le scienze dell’educazione arrancano e faticano ad indagare sui cambiamenti in atto e sono visibilmente in posizione assai arretrata nell’esplicare quello che sta avvenendo.

 

Per la rubrica “Contrappunti” avevo pensato di richiamare alla memoria Maria Maltoni ma tenuto conto della premessa mi sono chiesto se avesse ancora un senso parlare di una maestra ed educatrice che ha esercitato il suo lavoro e la sua influenza tra il 1920 e il 1956. Provo a rispondere al quesito.

 

Maria Anna Maltoni nasce in una famiglia di idee laiche e socialiste. Si diploma nel 1910 alla Scuola Normale Margherita di Savoia di Ravenna e inizia ad insegnare in Romagna, ma in seguito viene trasferita in Toscana, nel Mugello. A San Gersolè arriva nell’estate del 1920, accompagnata dal medico Laura Orioli, figura fondamentale con la quale condividerà la vita e i propri interessi. Nel 1943 aderisce al movimento partigiano clandestino; successivamente farà parte del Partito d’Azione, entrando in contatto con Piero Calamandrei, Raffaello Ramat, Giorgio Spini e rinsaldando l’amicizia con Ernesto Codignola che nel 1944 fondò la Scuola-Città Pestalozzi. Maria Maltoni ci ha lasciato tre libri pubblicati dopo il suo pensionamento avvenuto nel 1956: I quaderni di San Gersolè pubblicato da Einaudi con prefazione di Italo Calvino nel 1959, Il libro della natura nel 1963 sempre in edizione Einaudi e quello che possiamo definire il suo testamento di insegnante ed educatrice Esperienza ed espressione a San Gersolè pubblicato da La Scuola Editrice di Brescia nel 1964 anno della sua morte.

Il primo ottobre 1920 Maria Maltoni prende servizio a San Gersolè. Il piccolo borgo rurale sorge ai piedi della chiesa parrocchiale con una popolazione che per tutto il corso degli anni Trenta era compreso fra le settecento e le ottocento anime. La scuola di San Gersolè era costituita da un’unica stanza di circa 35 metri quadrati posta al primo piano di un appartamento che l’Amministrazione comunale aveva preso in affitto da un privato. Dell’arredamento banchi, sedie, sedie per la scuola all’aperto, librerie, cornici con i vetri per le stampe si occupò, nel corso degli anni, la maestra. A scuola aveva portato anche un grammofono, una macchina per le proiezioni e una radio di sua proprietà. Così, negli anni Quaranta, l’aula, dotata di banchi di legno più bassi in prima fila per i bambini di prima e seconda e di banchi più alti, dietro, per i bambini più grandi, riusciva ad ospitare circa 30 alunni contemporaneamente. Maria Maltoni non aveva l’abitudine di adottare in classe un libro di testo unico per tutta la durata dell’anno, era favorevole invece all’introduzione di libri e giornalini che contenessero letture piacevoli, educative e istruttive, adatte alle diverse età, consapevole che, in una scuola di campagna, l’unica occasione per stimolare la lettura dei ragazzi spesso era rappresentata dalle proposte della scuola: “Ritengo che la lettura sia la base di ogni apprendimento e do quindi ad essa il più largo margine di tempo. Essendo riunite nella stessa aula più classi contemporaneamente, la lettura occupa, in momenti alterni, tutta o quasi la giornata. In una pluriclasse, per forza di cose, un alunno legge mentre gli altri sono seriamente occupati, né si potrebbe fare altrimenti. Del resto, dato il mio modo di considerare la lettura, questo è anche il sistema più adatto”. [1] A questo proposito, appena arrivata, nel 1920, la maestra scrive al comune chiedendo che vengano acquistati dei libri per la biblioteca scolastica e il comune delibera un piccolo contributo per un primo acquisto. La Maltoni continuerà nel corso degli anni a integrare la biblioteca a sue spese e grazie a donazioni.

 

A chi le domandava da dove fosse nata la scuola di San Gersolè, Maria Maltoni rispondeva così: “La scuola non è nata da nessuna teoria preconcetta né antica, né tanto meno moderna. Di antico la maestra, tranne quel poco imparato malamente (e in gran parte, come quasi sempre accade, dimenticato presto) nei banchi della scuola, non aveva mai letto nulla. Pestalozzi, Lambruschini ed altri erano soltanto nomi e poco più del nome era rimasto nella sua memoria. Ci tiene dunque ad affermare che la scuola sorse da sé stessa, dalla pratica quotidiana vagliata al lume del buon senso, ora per ora e attentamente meditata.” [2]

 

Nell’introduzione ai Quaderni di San Gersolè Italo Calvino scrive: «[…] Nei loro diari, scritti e disegnati,  Maria Maltoni abituava i suoi scolari a raccontare ogni minimo fatto della vita campestre familiare e paesana di loro esperienza giornaliera; […] Certo, in questa scuoletta campagnola dalla quale è uscita una cronaca corale di tutto un paese, delle sue vendemmie e delle sue fienagioni, della sua vita collettiva e familiare, delle presenze vegetali e animali che lo circondano, una cronaca di parole e di figure e di colori come in un antico codice miniato, si è dato non solo uno degli esperimenti pedagogici più innovatori, ma una delle tracce più dirette e fresche e nuove che la vita dei nostri anni ha lasciato sulla carta. […]». [3]

 

E’ in Esperienza ed espressione a San Gersolè che la Maltoni ci illustra la base della sua pedagogia che si incentra sul diario e sul disegno.

Il disegno lo pongo per primo, come base, benché non sia stato il primo a rivelare a me il fondamento su cui porre tutto il lavoro scolastico. Il primo che mi disse parole chiare fu il diario, ma il disegno, quando lo scopersi, m’insegnò la via in ogni cosa e in ogni momento e non avrei più potuto sostituirlo con un’altra disciplina. Dico disciplina come dicevano gli antichi, non materia come si dice oggi, perché questa parola mi ha rivelato come ogni ramo del sapere abbia lo scopo di concorrere a rendere lo spirito disciplinato e attento. Il diario sostituì nei programmi del ‘23 il componimento sul tema obbligato; se ben fosse stato compreso da tutti i maestri italiani esso avrebbe dato nascita e indirizzo alla vera scuola e avrebbe reso libero il fanciullo. Io, abituata nelle scuole a scrivere su tema obbligato, appunto, mi sentii da principio smarrita, che cosa sarebbe avvenuto? Provai; poche e brevi spiegazioni: se vi lasciassi liberi di parlare voi avreste tante cose da raccontarmi; ebbene, il tempo per ascoltarvi tutti non c’è e nascerebbe una confusione; se invece ognuno di voi scrive quello che vorrebbe dirmi, io potrò leggere tutto ciò che mi raccontate. Badate, non ditemi nulla di quello che so già perché è quello che facciamo tutti, tutti i giorni, e non mi raccontate troppe cose, non ne raccontereste bene nessuna; ditemene una, la più importante, bella o brutta che sia, e ditemela in maniera che io la capisca come se fossi stata presente. I risultati primi, assai diversi da quelli ultimi, pure mi sorpresero per la vivacità, la freschezza, la verità che vi splendeva; ne fui incantata e non me ne seppi più staccare; mi vi addentrai sempre meglio ottenendo progressi sempre maggiori e accorgendomi che anche i bambini vi prendevano gusto e lavoravano alacremente”. [4]

 

Dov’è che Maria Maltoni ci interroga nel profondo del nostro mestiere? Oggi tutto sembra essere, nella nostra esperienza di insegnanti, da predeterminarsi a priori. Tutto deve essere rigidamente programmato e progettato come in una azienda qualsiasi. Tutto deve accordarsi con le nuove tecnologie, che spesso non padroneggiamo e facciamo finta di scimmiottare. Tutto è sempre più asettico e alla fine dei conti arido. Sempre di più ragioniamo dentro uno schema precostituito che mira a salvaguardare l’idea dell’omologazione: obiettivo, spiegazione, esercizio, correzione, verifica dell’apprendimento in base ad una griglia valutativa rigidamente precostituita. Tutto il percorso scolastico sta scivolando sempre di più verso un precipizio di fattori predeterminati e omologanti che portano ad una ossessiva valutazione secondo schemi rigidi per i quali occorre aver fatto percorsi didattici esattamente uguali.

La Maltoni partiva dalla centralità del singolo individuo, dalla sua esperienza esistenziale, dal suo vissuto quotidiano, dal ritenere irripetibile ogni esperienza umana che si trovava davanti in classe e nel tentativo di farla emergere senza la presunzione di modificarla. Dava dignità di soggetto ad ogni individualità con la quale aveva a che fare. Partiva dall’esperienza vissuta da ogni singolo bambino e bambina non da condizioni astratte o ingegneristicamente costruite a priori. “Un vero dialogo si svolge sul retro di queste schede rettangolari tra allievo ed insegnante: “La maestra mi ha dato un libro dove c’è scritto…” e, sotto, la mano della maestra: “Vedi dunque, Lido, che…”  [4] L’approccio alla realtà dell’esistere è totale. Nell’aula non entra un simulacro della vita pasticciato da tante schede-esercizio e inframmezzato da tanti video o foto ma entra la vita stessa nella sua interezza e, a volte, crudezza. Una scuola immersa nell’esistenza della vita tanto da far scrivere alla Maltoni “Disegno e diario allora, completandosi, si aiutarono a vicenda; le porte e le finestre della scuola si spalancarono sulla vita e sul mondo e io scopersi quanto grandi e ricchi fossero il mondo e la vita e seppi anche quante cose dovessi io imparare dai fanciulli per diventare loro maestra. Noi non avemmo che da guardare sempre più minutamente quello che fuori dall’aula esisteva e viveva e il tempo, a tanto vedere, a tanto pensare, a tanto capire, non ci bastò più” [6]

 

Riprendere il cammino sull’assolata collina di San Gersolè sarebbe gran cosa.

 

[1] Da una relazione conservata nel Fascicolo personale dell’insegnante prodotto dagli uffici amministrativi della scuola e trasferito nel Fondo Maltoni.

[2] Maria Maltoni, Esperienza ed espressione a San Gersolè, Brescia, La scuola, 1964

[3] Maria Maltoni, I quaderni di San Gersolè, Einaudi 1959

[4] Maria Maltoni, Esperienza ed espressione a San Gersolè, Brescia, La scuola

[5] Maria Maltoni, Il libro della natura Ed. Einaudi 1963

[6] Maria Maltoni, Esperienza ed espressione a San Gersolè, Brescia, La scuola