“L’incontro dell’Occidente”.
Nelle pieghe delle Nuove Indicazioni nazionali
Nella prima bozza di Nuove indicazioni nazionali, quella uscita a marzo, nei contenuti suggeriti per la seconda classe della scuola secondaria di primo grado, compariva la voce “Il colonialismo e l’imperialismo europei”. Ricordo che quando è uscito il testo sono andato con un po’ di angoscia a cercare tra i contenuti visto il tono patriottico che domina nella sezione dedicata alla storia, e quando ho trovato questa frase ho quasi tirato un sospiro di sollievo. Certo, non potevo sperare in una voce anticolonialista; che so? “L’imperialismo occidentale e la sottomissione dell’Asia e dell’Africa”, oppure “Razzismo e colonialismo europeo: la spartizione del resto del mondo”. Ovviamente avrei auspicato qualcosa di simile, per trasmettere consapevolezza critica di quel processo storico, ma visto il tono generale del testo avevo capito che ciò era impossibile. “Almeno – ho pensato – non ci hanno messo un’apologia esplicita del colonialismo”, perché vista l’aria che tirava fin dalla prima riga (“Solo l’Occidente conosce la storia”) non c’era tanto da essere ottimisti.
Ora però che è uscita la versione corretta del testo ho capito che quel sospiro di sollievo era un po’ prematuro. I sagaci storici estensori delle Indicazioni, accortisi che probabilmente la voce così generica poteva dare luogo a fraintendimenti, hanno pensato di aggiungere una frase chiarificatrice, così che ora il testo recita:
Il colonialismo e l’imperialismo europei; l’incontro dell’Occidente con altre civiltà.
Ora è tutto più chiaro. Nessuno potrà essere indotto in errore e i futuri estensori dei libri di testo – che potranno mutuare il titolo del relativo capitolo citando direttamente la voce delle Indicazioni - ci spiegheranno che quel grande processo storico definito colonialismo e imperialismo è stato caratterizzato da un approccio pacifico dell’Occidente che ad un certo punto della sua storia si è rivolto al resto del mondo per “incontrarlo”, oppure che si è imbattuto in esso e nelle altre civiltà con le quali – viene da pensare- saranno nati scambi, conoscenze, interessanti relazioni. Questo almeno suggerisce la parola “incontro” accostata ai processi storici dell’imperialismo e del colonialismo. E d’altronde le “altre civiltà” citate, evidentemente, sono quelle non occidentali, quelle che – ci hanno spiegato fin dalle prime righe gli autori delle Nuove indicazioni - “hanno conosciuto qualcosa che alla storia vagamente assomiglia […] hanno assistito a un inizio di scrittura che possedeva le caratteristiche della scrittura storica. Ma quell’inizio è ben presto rimasto tale, ripiegando su se stesso e non dando vita ad alcuno sviluppo”, risultando quindi civiltà del tutto inferiori.
Il mio sussidiario del 1974
La battaglia di Adua del 1896 vide confrontarsi truppe italiane ed etiopi e si risolse con una vittoria degli africani. Questo evento del passato può essere ricordato in due modi. La storiografia colonialista italiana ha sempre rievocato l'episodio come una triste disfatta che interrompe un processo di appropriazione e civilizzazione del Corno d'Africa di cui andava orgogliosa, portato avanti dalle truppe italiane a suon di schioppettate contro la barbarie. Da parte africana però lo stesso episodio è stato visto e celebrato come la prima vittoria di una nazione africana contro il tentativo di sottomissione armata portato avanti dall'imperialismo europeo per i propri interessi; vittoria quindi memorabile, capace di dare coraggio e speranze a tutti i popoli sottomessi.
Negli anni della decolonizzazione ovviamente il primo paradigma – non senza significative resistenze - ha perso di forza ed è divenuto difficile da sostenere anche da parte dei più retrivi storici nostalgici. I lavori di scavo di Del Boca e Rochat tra gli anni Sessanta e Settanta, e poi il volume In marcia verso Adua di Nicola Labanca (1993) hanno - pensavamo - chiuso definitivamente con ogni retorica sul colonialismo italiano gentile e civilizzatore. Certo, nella scuola il processo è stato più lento, le acquisizioni della storia (decolonizzazione) e della storiografia (decolonizzazione degli studi) sono arrivate successivamente e anche qui non senza resistenze. Per fare un esempio anche io che ho frequentato la quinta elementare nel 1974 mi sono ritrovato a studiare su un libro di Alberto Manzi (Il ponte d’oro) che di Adua raccontava che “il governo italiano sperava ancora di ottenere pacificamente alcuni territori africani", ma che poi fu praticamente costretto a mettere mano ai fucili poiché "Menelik però non era uomo da mantenere i patti". Insomma: anche io che sarò in classe ancora sei anni prima di passare il testimone per la pensione mi sono formato in una scuola che presentava il colonialismo italiano come atto di generosità, per nulla razzista, dedito a donare strade e cultura e restio all’uso alle armi tollerato solo in casi eccezionali, quando proprio la provocazione di questi “popoli incivili” le rendevano necessarie.
Ora mi chiedo: non è che queste retoriche razziste torneranno ad avere cittadinanza nei nostri libri di testo?
Cosa compare e cosa scompare
Come è stato detto, il passaggio dalla prima alla seconda versione delle Nuove indicazioni non ha solamente aggiunto o precisato, ha anche tolto. In particolare è sparito un paragrafo che, pur nell’ambiguità, poteva forse suscitare dei dubbi sull’interpretazione del colonialismo come atto dell’Occidente che si rivolge alle altre civiltà per incontrarle. Eccolo:
nella coscienza europea ed occidentale del XIX secolo la storia, la propria storia, - che proprio allora assiste alla vasta diffusione dei diritti dell’uomo e dei principi costituzionali, alla straordinaria crescita economica e del benessere, a risultati strabilianti nell’ambito della scienza e della tecnologia - assurge altresì a motivo decisivo per la formulazione di una presunta superiorità nei confronti di ogni altra popolazione e cultura della terra. Di quelle popolazioni e culture che nulla sanno di quanto sopra perché la loro storia ha seguito un tracciato assolutamente diverso non rivestendo perciò ad occhi occidentali alcun significato, potendo essere quindi tranquillamente ignorata. Come ogni sapere umano pure la storia, insomma, offre il destro di essere piegata al pregiudizio e alla discriminazione.
Ho segnalato in corsivo quel tratto eurocentrico di disprezzo per le identità culturali altre che affiora un po’ dappertutto in queste Indicazioni, ma nonostante questo passaggio bisogna ammettere che il paragrafo chiariva almeno che accanto alle “strabilianti” e “straordinarie” magnifiche sorti progressive, l’Occidente aveva anche “ignorato […] popolazioni e culture” diverse che non rivestivano “ad occhi occidentali alcun significato”, e che tutto quello “straordinario” e “strabiliante” produsse “presunta superiorità” (che potremmo anche tradurre con razzismo, se il termine è ancora lecito. Insomma, finché c’era questo paragrafo uno poteva anche pensare che quell’ “incontro dell’Occidente con altre culture” si risolvesse nell’ignorarle e stroncarle bellamente in nome della propria presunta superiorità… E quindi per evitare fraintendimenti i nostri estensori hanno pensato di cassare il passaggio.
Filologi cercasi
L’analisi filologica completa di queste Nuove indicazioni nelle due versioni sarebbe davvero utile e sicuramente appassionante, ma io mi fermo qui. Per chi vorrà lavorarci suggerisco però un ultimo passaggio davvero curioso: la comparsa – nell’ultima versione - di una citazione di Lèvi Strauss funzionale a spiegare la superiorità della cultura dell’Occidente sulla base della conoscenza storica che ha sviluppato. È l’antropologo che parla:
Non soltanto noi riconosciamo l’esistenza della storia, ma le dedichiamo un culto, perché [...] la conoscenza che vogliamo o crediamo di avere del nostro passato collettivo, o, più precisamente, il modo in cui lo interpretiamo, ci serve a legittimare o a criticare l’evoluzione della società in cui viviamo e a dare una direzione al suo futuro. Noi interiorizziamo la nostra storia, ne facciamo un elemento della nostra coscienza morale.
La frase compare nelle Indicazioni senza riferimenti, ma è tratta da un’intervista rilasciata a Didier Eribon e pubblicata nel 1988 (Da vicino e da lontano). In quel contesto originale però l’attestazione dell’importanza attribuita alla storia faceva riferimento non tanto all’Occidente ma alla differenza tra “società fredde” (senza scrittura) e “calde” e conteneva un riferimento polemico alla concezione della storia marxista-esistenzialista di Sartre (nella parentesi quadra con i tre puntini si leggeva infatti “come dimostra chiaramente l'esempio di Sartre”). Uno si chiede: gli autori delle Indicazioni non sapevano spiegare con parole loro quello che intendevano dire e hanno dovuto citare - decontestualizzandolo - un antropologo non proprio intimo della dimensione storica della conoscenza in un passo che alludeva polemicamente a Sartre come esponente di una filosofia della storia come mito?
Insomma...
Mi pare chiaro che, mentre nelle nostre classi entrano sempre più numerosi i nipotini e le nipotine dei colonizzati, per gli storici che hanno firmato le Nuove indicazioni noi dovremmo raccontargli che i loro bisnonni sono stati fortunati ad “incontrare” i nonni di italiani, inglesi, francesi … che portavano loro, insieme alla “civiltà”, quel dominio che li ha tenuti soggiogati per uno o due secoli. E che ancora di più loro stessi devono essere contenti di imparare gli episodi eroici del Risorgimento italiano, magari cantando l’inno nazionale e sventolando il tricolore nell’attesa infinita di poter richiedere la cittadinanza.
Invece di cogliere questa occasione storica di sprovincializzarci e di cominciare a guardare oltre i nostri confini a partire dalla ricchezza delle nostre classi e abbandonando l’ottica del dominio, noi insegnanti dovremmo tornare a insegnare quante strade furono costruite nel corno d’Africa e quanto gloriosa fu la storia di Roma antica (da insegnare per un anno e mezzo, da metà della quarta alla fine della quinta classe). Ma davvero pensano che le lancette della scuola italiana si possano spostare così facilmente all’indietro?