terra/Terra

 

di Gianluca Gabrielli

 

In Italia i termini che indicano il suolo e il pianeta coincidono. “Terra” è il nostro pianeta (only one Earth) e la parte di esso in cui prende corpo gran parte della vita (in presenza di acqua). Il lemma "terra" quindi è cruciale nello scambio di idee, opinioni, conoscenze e conflitti che stiamo provando a promuovere nella scuola.

Io qui, rivolgendomi a insegnanti, intendo parlarne valorizzandolo nella sua materialità, inteso quindi come suolo, come sostrato a cui fanno riferimento gran parte delle forme di vita, in modo diretto e indiretto.

Inoltre, anche io insegnante nella scuola primaria, sono se possibile ancor più condizionato dalla consistenza materiale di questa terra, dalla sua manipolabilità (l’importanza di sporcarsi le mani), dalle sue manifestazioni fisiche e chimiche di base, dalle sue caratteristiche percepibili ed esperibili: odore, consistenza, colore,... al limite: sapore. Con le piccole e i piccoli ogni concetto si forma e cresce attraverso le esperienze percettive organizzate su tutte le lunghezze d’onda dei canali sensoriali (a dispetto di tutte le tabletmanie).

Questo intervento quindi vuole essere un invito a dare centralità fisica alla terra nelle nostre classi. Per farlo gioco con alcuni esempi, cioè con alcune esperienze possibili.

 

Dove procurarsela. Ormai la terra si compra. Nelle città è occultata, emerge solo in prigioni ristrette di cemento attorno la base degli alberi, sporcata dalle immondizie e dalle deiezioni degli animali domestici. Eppure è un peccato comprare la terra, sarebbe bello progettare uscite per andare a cercarla, prenderla in prestito dal territorio dove è disponibile per le proprie esperienze, poi eventualmente riportarla. Bisogna armarsi di pale e palette, imparare ad usarle, provare la fatica che è stata di millenni di vita agricola (ricordarsi di ricordarla). Tra comprare la terra e andarla a raccogliere c’è la stessa differenza che esiste tra mangiare i fagioli in scatola e coltivarli in un orto.1 

La terra “naturale” (per distinguerla da quella artificiale in vendita nei sacchi di plastica) offre maggiori possibilità per un uso didattico, proprio perché non è predisposta, perché ci oppone ostacoli e ci obbliga a superarli.

 

A volte è argillosa, è polvere di suolo, e si può impastare con l'acqua per produrre manufatti che poi si possono cuocere. Raramente salto questa fase. Non solo ci rimanda ai miti della creazione, quello monoteistico (“Dio il Signore plasmò l'uomo dalla polvere della terra”) e quelli politeisti (ad esempio “Nacque l'Uomo, fatto con divina semenza da quel grande artefice [...] Prometeo [...] impastando la terra ancora fresca con l'acqua piovana)2, ma ci offre anche l’occasione per scoprire una qualità fondamentale del nostro territorio antropico e la possibilità di collegarsi più laicamente ai nostri antenati e antenate su su fino almeno al neolitico. Organizzare il lavoro è semplice: si prendono alcune zolle umide dall’orto o dalla propria “miniera di terra” a disposizione, le si inumidisce, si distribuiscono a pezzi ai bambini e si chiede loro di impastarle togliendo i sassolini e le radici quando vengono a contatto con le dita. Le “palle di terra” così “purificate” possono poi essere modellate in varie forme, quindi lasciate asciugare per qualche giorno. A questo punto alcuni manufatti vanno bagnati, mostrando la reversibilità di questo processo, altri li facciamo cuocere in un forno e li restituiamo ai bambini, ormai mutati di colore, divenuti terracotta rossiccia. Fantastica trasformazione. Ora i piccoli manufatti bagnati di nuovo non si sciolgono, sono divenuti uno dei materiali più resistenti non solo al peso ma anche all’usura del tempo (e costituiscono uno dei ritrovamenti più usuali per gli archeologi). Finalmente siamo pronti per un’uscita di esplorazione dei dintorni della scuola alla scoperta di tutti i prodotti di terracotta che costituiscono una bella fetta di città: mattoni, tegole, vasi, gran parte delle nostre città sono ancora fatte di terra-cotta!

 

Torniamo ora indietro. Avevamo raccolto della terra che ci pareva priva di vita, ma in realtà di vita era piena, di vita viva e di vita in potenza. Mettiamoci allora di nuovo al lavoro. Vagliamo questa terra raccolta e cerchiamo la vita.

Gusci di chiocciole, larve, lombrichi, millepiedi, onischi, microfauna… e poi radici, cioè frammenti di erbe che spingevano i loro apparati sotto-terra, dentro-terra, a succhiare acqua e nutrimenti, ad ancorare le erbe per resistere a vento, acque, calpestii, animali voraci di esse. Classifichiamole queste forme di vita. Ognuno disegni ciò che trova prima di restituirlo al sostrato, e poi ritagliamo e incolliamo i cento disegni in un cartellone, facciamo il censimento delle vite visibili.

Poi cerchiamo le vite invisibili: mettiamo una parte di questa terra in piccoli vasi (noi usiamo i contenitori di tetra pak del latte tagliati a metà e bucati in fondo per il drenaggio), quindi innaffiamoli e mettiamoli alla luce e al caldo, e aspettiamo. I piccoli semi nascosti che non potevamo vedere a occhio nudo, in breve tempo germineranno, miracolosi, spingendo le loro prime foglie sulla superficie. C’erano anche loro nella terra, stavano nascosti, vite in potenza, aspettavano le condizioni per germinare, oppure erano frammenti di radici che conservavano le loro proprietà germinative, capacità sviluppate nei millenni di evoluzione che le hanno rese resistenti anche ai più ostinati contadini che le strappano (ma non ai peggiori erbicidi inventati per surclassare l’equilibrio tra umanità e ambiente al fine della massimizzazione del raccolto).3

 

Noi umani solitamente guardiamo la natura con occhi famelici, fatichiamo a metterci nei suoi panni. Storicamente questa nostra ostinazione a considerare l’altro da noi al nostro servizio ha prodotto uno sviluppo distruttivo e ha avvelenato gran parte dell’ambiente; ma anche nell’ultimo mezzo secolo in cui una qualche consapevolezza del disastro ha cominciato a farsi strada, nessuna controforza si è manifestata che potesse imbrigliare il cieco riprodursi dello sfruttamento. Per questo quando si manifestano le forme di vita nascoste nella terra conviene non lasciarsele sfuggire, è utile aprire i quaderni facendole entrare nei nostri percorsi immedesimativi e immaginativi. Si parte facile: “io sono un lombrico; …”, oppure: “io sono un seme volante trasportato dal vento…”, e si cominciano a sollecitare storie, racconti; situazioni narrate e poi scritte, pronte volendo anche per venire rappresentate. “Oggi stavo nella mia terra tranquillo e mentre mangiavo una foglia secca una lama mi ha sfiorato e mi ha colpito una luce accecante. Un gigante mi ha strappato dalla mia terra-casa…”. Oppure: «Io sono una piantina non tanto alta tutta verde che mi sono intrufolata e attaccata al muro. Non c’è molto nutrimento, ma riesco a vivere…».4 Il decentramento li aiuta a fraternizzare con le piccole creature che hanno accolto nella loro classe, li fa sentire come se fossero loro. Quando si descrive l’andamento di una giornata immedesimandosi in un lombrico o in una piantina di erba, poi risulta difficile non considerare quei piccoli esseri come parte di un cosmo da non trascurare, come esseri che hanno anch’essi una vita degna.

 

Mescolando la terra con l'acqua è possibile dividere le diverse fasi del suolo, ad esempio in una bottiglietta di plastica (trasparente, infrangibile… quando bambine e bambini sono più grandi usiamo il vetro) dopo aver agitato: le parti organiche galleggiano mentre quelle inorganiche affondano rapidamente; le parti inorganiche si depositano stratificandosi approssimativamente in base alla grandezza dei granuli, dal più grande al più piccolo. Nella mia esperienza è sempre stato di grande fascino per i bambini avere una o due bottigliette con terra e acqua nella classe: il piacere di agitarle e di vedere la sospensione delle particelle, poi quasi senza accorgersene, nel tempo, osservare gli stadi della sedimentazione, ha sempre creato grande piacere. In quarta chiamavamo Nilo quella bottiglietta, collegandola al limo delle tracimazioni annuali dell'epoca antica. Una la conservo ancora.

 

La terra in vendita (si vende l’acqua e si vende la terra) è carica di humus per le piante domestiche, ma anche fabbricare l'humus è un'esperienza particolarmente piacevole. Noi l'abbiamo fatto in una cassetta della frutta a base quadrata, alta, riempita in autunno di strati di terra, foglie e cibo vegetale rimasto nella mensa. Coperta per evitare l'allagamento, la nostra compostiera è però stata tenuta umida e rabboccata man mano che il volume del deposito diminuiva. In maggio finalmente abbiamo riversato il contenuto su un grande telo e abbiamo osservato la sparizione (trasformazione) di molti materiali organici che avevamo messo (niente più maccheroni, niente più foglie), la comparsa di lombrichi, millepiedi, crostacei e vari detritivori, compresa una lumaca, la germinazione di semi capitati lì probabilmente insieme alle foglie e alla terra. Vedere e sperimentare che la terra è una grande macchina naturale del riciclo è importante, serve a capire che anche senza l’intervento dell’uomo gli ambienti naturali cercano un equilibrio dinamico tra vita e morte, senza perdere nulla. È un equilibrio dai tempi lunghi, e anche la compostiera ha tempi lunghi, impone l’attesa, chiede pazienza, diligenza di pensiero e attenzione, regala soddisfazioni del medio periodo che confliggono con il sempre più accelerato ritmo della vita: realizzare una compostiera significa mettere in piedi un piccolo elemento di contrasto educativo a questa società dei consumi immediati.

 

Ma andiamo avanti: nella terra si semina. La terra è il substrato in cui fare l'esperienza della germinazione delle piante. La germinazione non si può insegnare; bisogna prepararla e attendere che accada.5 Per essere consapevoli della germinazione bisogna vederla tante volte, provare, estrarre le piante, guardarle, provare a trapiantarle, distruggerle, dare la luce, togliere la luce, dare e togliere acqua, seminare qualsiasi cosa (un sasso potrebbe nascere? tutti i semi nascono? le foglie si possono seminare?...) Costruire esperienze su questi temi facendole in modo il più possibile libero, con indicazioni procedurali limitatissime o nulle significa concedere a bambini e bambine la possibilità di provare le esperienze anche al di fuori dei protocolli ingessati della didattica, della trasformazione dell’esperienza in esperimento didattico: bisogna che a scuola ci sia spazio per esperire in maniera libera. È auspicabile che la scuola di questa nostra società urbanizzata all’inverosimile conservi, anche se in forma limitata, spazi per la “vita libera” dei bambini, che “ha il sapore dell’esperienza vissuta fino in fondo”, citando un po’ forzatamente Bruno Ciari.6 Inventare uno spazio per le semine a scuola non è facile, ma spesso non lo si fa solo per pigrizia, “perché non c’è mai stato”, perché sporcherebbe… Eppure se non si predispone uno spazio, metà delle esperienze non si faranno. A me capita, dopo aver creato quello spazio, di avere ogni giorno qualche bambino che in mensa conserva dei semi dalla frutta e prova a piantarli appena tornato in classe, e alcuni di quei semi germinano (soprattutto mandarini)! Ma l’esperienza è completa quando qualcuno prova a piantare anche altro, i fagioli dei fagiolini verdi bolliti, l’orzo della minestra… Questa è la vera sperimentazione, libertà di esperire.7 La terra deve essere lì, pronta, a disposizione dei bambini e delle bambine8.

 

Poi la terra si scava, lo sanno bene gli archeologi, che considerano ormai da più di un secolo il suolo non come lo strato scomodo da asportare negli scavi, ma come un contenitore prezioso di tracce della vita passata da analizzare.9 Ovviamente ai bambini dovete dare un luogo e il permesso di scavare, liberamente, nelle ricreazioni. Non gli attrezzi, quelli se li devono inventare da soli. Adesso nel nostro giardino abbiamo vanghette, palette e scope, io ho proibito le prime due (se no sarebbe stato troppo facile e avrebbero fatto buche troppo fonde per la densità di bambini per dam2 di giardino) e allora scavano con i manici di scopa. Ho avuto bambine e bambini che scavavano con bastoni, sassi, vecchie penne, solo in alcuni casi ho consentito anche l’uso di palette. Cosa trovano sotto terra? Di tutto. Pietre (cioè minerali), pezzetti di vetro, pezzetti di plastica, giochini smarriti e dimenticati, frammenti di terracotta, e poi lombrichi, ossa, radici… Una volta hanno trovato una pietra che somigliava ad un chopper; l’abbiamo tenuta, in quinta l’abbiamo spedita al museo archeologico quasi per gioco e ci hanno restituito solo una replica in resina perché l’originale era patrimonio archeologico, era un seghetto di ftanite dell’età del rame! Quello che intendo dire è che bisogna sostenere e valorizzare l’enorme piacere di scavare e di vedere cosa c’è nascosto in questo sostrato, ci sono bambini e bambine che continuano per mesi a passare l’intervallo a scavare, sperando di trovare tesori, gioielli, messaggi, antiche città, l’acqua… Io lo facevo all’asilo, intorno ad un pozzetto credo dell’acqua o della luce, era il 1969, speravo di trovare il petrolio.

 

Torniamo ancora una volta indietro nel tempo. È vero che la terra-cotta ci riporta al neolitico, ad esempio come materiale di costruzione, ma non tutta la terra che serviva a costruire veniva cotta (pensiamo a Babilonia e alle tecniche messe a punto dagli archeologi proprio per identificare la struttura delle antiche mura di mattoni crudi). Ancora oggi la cottura è una pratica costosa, e in alcune zone geografiche caratterizzate da piogge non particolarmente abbondanti, si può costruire con la terra anche senza cuocerla. In questo caso la terra viene impastata con materiali più porosi (paglia) che permettono di rendere più coesa e meno fragile e pesante la costruzione… L’impasto poteva ad esempio venire spinto entro stampi della forma di mattone voluta che poi erano posti ad essiccare al sole e successivamente utilizzati. Perché non fare questa esperienza in miniatura costruendo dapprima molti mattoncini e poi con essi una capanna villanoviana, una casa dell’antica Mehrgarh10 o una casa come ce ne sono tante ancora oggi in Italia nel Campidano, in Abruzzo, nelle Marche e nell’Alessandrino? Giuseppe Del Rosso alla fine del XVII secolo ne parlava bene: «La fabbricazione colla sola terra senz'altri materiali, né altro cemento, vale a dire senza pietra e calcina, consiste unicamente nella mano d'opera, ed è presso a poco una imitazione perfetta della natura»11.

 

Ultimo suggerimento: la terra è il luogo della decomposizione, noi stessi torneremo ad essere terra. Ma cosa si decompone e con che velocità? È sufficiente sotterrare una serie di materiali che suscitano la nostra curiosità e aspettare un paio d'anni per verificare le trasformazioni. Due anni non sono tanti e il ciclo elementare è di 5 anni. Basta legare questi materiali (una coscia di pollo, un pesce, un tappo di plastica, un rametto, una ciocca di capelli, una foglia, un chiodo, una pietra, un pezzo di carta, un maccherone, un pezzo di stoffa...) a un filo di plastica, fotografarli e disegnarli, quindi sotterrarli ricordando il luogo; poi tornare due anni dopo per vedere come sono cambiate le cose, cosa è rimasto immutato e cosa si è trasformato. Si chiama archeologia sperimentale: studiare sui libri cosa possa accadere a questi materiali è fondamentale per conoscere come avvengono le trasformazioni, ma se la conoscenza si nutre anche di queste esperienze, la comprensione sarà più solida e il processo genererà molteplici nuove ipotesi e domande.

 

Tutte queste esperienze condotte a partire dalla terra sono caratterizzate dall’attribuzione di un ruolo attivo alle bambine e ai bambini. Eppure anche questo attivismo nelle esperienze, se rimane confinato nei recinti classicamente attribuiti alle attività didattiche, rischia di risolversi in una variante anticonformista dell’educazione ecologica che ritroviamo declinata in mille modi nei nostri libri di testo. L’elemento che può permettere un vero salto di qualità è solamente un approccio verso le nostre “terre” che sia di “difesa” attiva, di impegno civile, di partecipazione pubblica. Se la classe nei suoi percorsi arriva alla consapevolezza che mancano gli spazi verdi pubblici nella scuola e nel quartiere, perché non scriverlo alla dirigente e al sindaco? Perché non esporre i prodotti delle attività in quartiere e perché non invitare i politici del territorio, chiedendo di attivarsi? Si tratta di uscire dalla didattica per entrare nella società con i propri pensieri e le proprie richieste, di sperimentare la partecipazione attiva. Se la classe matura il pensiero che mancano i luoghi cittadini per fare orti o altre esperienze, perché non chiedere ai genitori di aiutare la classe a comunicare alla città questa riflessione? Come affermò Chico Mendes “ecología sin lucha social es solo jardinería”.

 

Se questo approccio esperienziale alla terra ha un senso, se può essere una buona matrice per impostare una pedagogia ecologica, allora occorre riflettere su tre aspetti della nostra scuola presente che ne costituiscono la cornice indispensabile: architettonico, organizzativo e curricolare.

 

Architettonico: si spende tantissimo per approntare ambienti digitali mentre gran parte delle scuole primarie non ha giardini, campi, ambienti per condurre esperienze libere da mille vincoli di sicurezza. Eppure se il criterio cui orientare l’intervento è sempre quello della spesa tecnologica e digitale (almeno il 60% del totale nei fondi PNRR) avremo sempre meno esperienza, sempre più malessere dei bambini, sempre meno conoscenza di base.

 

Organizzativo: La scuola primaria dell'esperienza può essere solo il Tempo pieno, una organizzazione dai tempi distesi che si rifiuta di caricare di aspetti astratti e cognitivi ogni momento di partecipazione scolastica. L’alternanza di due docenti al mattino e al pomeriggio permette di conservare tempi dedicati alle esperienze più o meno libere dalla catena insegnamento-esercitazione-verifica. Tempi fondamentali nella vita sempre più atomizzata delle nostre città perché in questi casi la scuola può essere ancora lo spazio e il tempo liberato in cui crescere sperimentando insieme. Ma il Tempo pieno va ristabilito normativamente e va finanziato economicamente.

 

Curricolare: Le attuali Indicazioni (2012) lasciano spazio all'interdisciplinarità, o meglio, lasciano spazio alle insegnanti di introdurre i confini disciplinari solo quando servono, senza imporli dall’alto prima che abbiano un senso. Ma non la promuovono. Le nuove Indicazioni 202512 nella stesura proposta a marzo per il “dibattito pubblico” promuovono nella forma Stem l’integrazione di scienze con tecnologia e matematica ma allo stesso tempo erigono steccati tra questo blocco e i contesti di osservazione e riflessione di derivazione umanistica (storia, geografia, lingua) proposti in forma disciplinare e in molti aspetti nostalgici della scuola anni Cinquanta. Saremo in grado come insegnanti almeno di non arretrare? Di mantenere una forte accentuazione sulle didattiche esperienziali, interdisciplinari, cooperative, antimeritocratiche nonostante lo spirito (cattivo) dei tempi?

 

Oramai conosciamo bene il ruolo dell’uomo come agente tellurico paragonabile all’azione di terremoti, eruzioni, cicli orbitali della Terra.13 Uno dei criteri per asserire l’inizio di una nuova era geologica, l’antropocene, risiede nella riscontrata presenza di residui delle esplosioni nucleari nelle stratificazioni di terreno in ogni parte del pianeta, ad attestare un effetto geologico generale della attività umana, e non certo della migliore qualità. La mancata riconsiderazione del rapporto tra uomo e natura impedisce di porre un argine agli effetti catastrofici del cambiamento climatico e degli altri sconvolgimenti in atto o prossimi.14 Se è vero che solo frenando il cieco sviluppo della macchina capitalistica possiamo sperare di interrompere questo processo, è altrettanto vero che solo generazioni cresciute consapevoli dello scempio potranno anche solo provare a concepire quella finora impensabile via d’uscita dalla catastrofe. Quindi proviamo a dare una mano a ciò che per adesso sembra impensabile cambiando il nostro modo di fare scuola.

 

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note

 

1Tra l’altro la terra, quella dei sacchetti, costa molto meno delle lavagne interattive. A peso circa un 200esimo. Eppure a scuola spesso mancano i soldi per comprare la terra.

2"Nacque l'Uomo, fatto con divina semenza da quel grande artefice (...) Prometeo, a immagine degli dei che tutto regolano, impastando la terra ancora fresca con l'acqua piovana che da poco separata dall'alto etere, ancora conserva qualche germe celeste (...) Così quella terra che fino a poco prima era grezza e informe, subì una trasformazione e assunse figura mai vista di uomini". Publio Ovidio Naso Metamorfosi I: 76/88

3G. Gabrielli, Arare a scacchiera, “quandosuonalacampanella.it”, 24/7/2012, <https://www.quandosuonalacampanella.it/d10/

4G. Gabrielli, In luoghi inconsueti, inaspettate, 2019, <https://www.roots-routes.org/luoghi-inconsueti-inaspettate-gianluca-gabrielli/>

5Come, in un certo senso, ci ha ricordato recentemente un documento di The Royal Society of Chemistry, Institute of Physics, Royal Society of Biology and Association for Science Education: Sally Weale, Add ice-lolly licking to England primary school curriculum, urge scientists, “Guardian”, Tue 20 Aug 2024, <https://www.theguardian.com/education/article/2024/aug/20/add-ice-lolly-licking-to-england-primary-school-curriculum-urge-scientists>.

6Bruno Ciari, Tempo pieno, pieno di che?, in La grande disadattata, (a cura di Alberto Alberti), Roma, Editori Riuniti, 1972, p. 137.

7Telmo Pievani, Serendipità. L’inatteso nella scienza, Milano, Cortina editore, 2021.

8G. Gabrielli, Ma come viene il fagiolo, “quandosuonalacampanella.it”, 22/05/2016 <https://www.quandosuonalacampanella.it/d3/>

9Mortimer Wheeler scrive Archaeology from the Earth; “la terra custodisce il nostro passato e ci custodirà nel futuro”.

10Mehrgarh, città nella Valle dell'Indo, sito neolitico, sorto tra il 7000 a.C. ed il 3200 a.C. nella pianura di Kachi, nel Belucistan pakistano.

11Giuseppe Del Rosso, Dell'economica costruzione delle case di terra. Opuscolo diretto agli industriosi possidenti e abitatori dell'agro toscano. Da un Socio della R. Accademia de' Georgofili di Firenze. Firenze 1793 presso J.A. Bouchard.

13Salvatore Adorno, L’antropocene e noi. Per una didattica della storia ambientale, 2020, <https://www.clio92.org/2020/06/05/lantropocene-e-noi-per-una-didattica-della-storia-ambientale/>

14I bombardamenti condotti da Israele contro la striscia di Gaza dal 7 ottobre 2023 hanno inquinato irrimediabilmente i terreni, già al 1° settembre 2024, risultava compromesso senza rimedio il 67,6% del totale dei terreni prima coltivati (dati Fao citati sa Paolo Pileri in La distruzione del suolo e del futuro della Palestina, “Altreconomia”, 1 Novembre 2024.